il Fatto 22.4.10
Ipazia, la congiura dei mediocri
In attesa di Agorà, ecco chi era la filosofa che diresse la scuola neoplatonica
Era ascoltata dal popolo e consultata dai potenti: per questo fu uccisa
di Giovanni Ghiselli
Sta per uscire Agorà, il film di Amenábar su Ipazia, una donna di grande levatura uccisa nel 415 d. C. da monaci fanatici detti parabalani, un’orda sanguinaria istigata al massacro dal vescovo Cirillo di Alessandria d’Egitto. Aspettando l’opera cinematografica, scopriamo chi era questa martire del pensiero. Utilizzerò fonti antiche: la Storia Ecclesiastica di Socrate Scolastico, le Epistole di Sinesio, un discepolo di Ipazia, neoplatonico e pure cristiano illuminato, che divenne vescovo di Tolemaide e morì poco prima di lei, rimpiangendone lo “spirito divinissimo”, poi un epigramma di Pallada, un maestro allontanato dalla scuola in quanto non cristiano, tutti contemporanei di Ipazia. Inoltre, la Vita di Isidoro di Damascio, ultimo scolarca dell’Accademia neoplatonica di Atene, fatta chiudere da Giustiniano nel 529. Gli autori sono concordi nel presentare Ipazia come intelligente, bella, generosa. All’inizio del V secolo Alessandria era un centro commerciale e culturale tra i più importanti dell’impero romano d’Oriente e pure una città turbolenta per la presenza di tre gruppi religiosi che si facevano guerra: ebrei, cristiani e pagani. Ma vediamo i testi a partire dall’epigramma di Pallada: “Quando ti osservo, mi prostro davanti a te e alle tue parole,/vedendo la casa astrale della vergine,/infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto/Ipazia sacra, bellezza delle parole,/astro incontaminato della cultura”. Ipazia nacque intorno al 370. Suo padre Teone le insegnò le scienze matematiche. La discepola divenne presto più brava del maestro. Diresse la scuola neoplatonica. Era ascoltata dal popolo e consultata dai potenti per la magnifica libertà di parola, per il fatto che era dialettica nei suoi discorsi e per le sue competenze matematiche, geometriche, astronomiche e filosofiche. Per tali motivi suscitò invidia, l’anima della congiura dei mediocri contro l’individuo eccezionale. La mente del complotto era Cirillo: la venerazione e il prestigio che pretendeva come capo della religione vincente, andavano a una pagana, a una femmina! Il rancore divenne pernicioso, per Ipazia, quando l’iniquo prelato vide una ressa di uomini davanti alla casa di lei. Motivi sessuali non c’erano: Damascio racconta che la donna era vergine, sebbene facesse innamorare molti, e, addirittura, a un uomo malato d’amore, “gettò una delle pezze usate per il mestruo e gli disse: questo tu ami, giovane, niente di bello”. Cirillo “si rodeva a tal punto che tramò la sua uccisione, fra tutte la più empia”. Si può dire di Ipazia quanto P. B. Shelley scrisse dell'eroina di Sofocle: “Che sublime ritratto di donna! Alcuni fra noi, in una precedente esistenza, si sono innamorati di un'Antigone: ecco perché non troveranno mai completa soddisfazione in un legame mortale!”.
Ma torniamo ad Alessandria. Negli anni precedenti l’imperatore Teodosio “il Grande” aveva fatto distruggere gli edifici ellenici del culto e della cultura, e aveva promosso una serie di provvedimenti giuridici avversi al paganesimo. Teofilo, vescovo della città dal 385 al 412, un uomo violento, aveva eseguito con sadica sollecitudine, e Cirillo ne fu il degno erede e prosecutore, fino alla morte (444). Quindi venne proclamato Santo e Padre della Chiesa. Costui detestava Ipazia che parlava nell’agorá, liberamente, culturalmente e politicamente. Il suo magistero rappresentava una resistenza alla volontà di cancellare il pensiero e l’arte dei Greci. Il vescovo non sopportava che Ipazia fosse la stella polare per tanti, a partire dal prefetto augustale Oreste, odiato anche lui dalla gerarchia ecclesiastica al punto che uno dei parabalani, Ammonio, lo ferì gravemente, colpendolo in testa con una pietra. Questo sicario venne processato secondo la legge e lasciato morire sotto tortura. Quindi Cirillo ne fece collocare il corpo in una chiesa, ne cambiò il nome in Thaumasios (ammirevole) e lo encomiò quale martire della religione cristiana. Sembra prefigurare il bandito della Magliana sepolto con i pii prelati. Nel 415 l’impero d’Oriente era retto da Pulcheria, figlia di Arcadio e nipote di Teodosio: ebbene costei era alleata di Cirillo. Ciò nondimeno “i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da Ipazia”, racconta Damascio. Cirillo bruciava di odio implacabile.
Vediamo la morte di Ipazia. Tornano in azione le squadracce che avevano tentato di uccidere Oreste. “Siccome ella si incontrava spesso con Oreste, l’invidia mise in giro la calunnia che fosse lei a non permettere che il prefetto si riconciliasse con il vescovo. Allora alcuni uomini infiammati si appostarono per sorprendere la donna mentre tornava a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa denominata Cesario.
Qui, strappatale la veste, la uccisero con dei cocci (ostrákois). Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, cancellarono ogni traccia di lei con il fuoco”. Fu attuata una forma inaudita, violentissima, di ostracismo. “Questo-conclude Socrate Scolasticoprocurò biasimo non piccolo a Cirillo e alla Chiesa di Alessandria ”. Un biasimo santo che si rinnova con il film Agorà. Con l’assassinio di Ipazia si chiuse un’epoca. Oramai i templi degli dèi e della cultura pagana, in primis il Serapeo con le sue biblioteche, erano stati distrutti, oppure snaturati come il Cesario trasformato in cattedrale cristiana, e Alessandria era stata svuotata della sua vita culturale, privata dei suoi studiosi, ammazzati o costretti alla fuga.
Ipazia, la congiura dei mediocri
In attesa di Agorà, ecco chi era la filosofa che diresse la scuola neoplatonica
Era ascoltata dal popolo e consultata dai potenti: per questo fu uccisa
di Giovanni Ghiselli
Sta per uscire Agorà, il film di Amenábar su Ipazia, una donna di grande levatura uccisa nel 415 d. C. da monaci fanatici detti parabalani, un’orda sanguinaria istigata al massacro dal vescovo Cirillo di Alessandria d’Egitto. Aspettando l’opera cinematografica, scopriamo chi era questa martire del pensiero. Utilizzerò fonti antiche: la Storia Ecclesiastica di Socrate Scolastico, le Epistole di Sinesio, un discepolo di Ipazia, neoplatonico e pure cristiano illuminato, che divenne vescovo di Tolemaide e morì poco prima di lei, rimpiangendone lo “spirito divinissimo”, poi un epigramma di Pallada, un maestro allontanato dalla scuola in quanto non cristiano, tutti contemporanei di Ipazia. Inoltre, la Vita di Isidoro di Damascio, ultimo scolarca dell’Accademia neoplatonica di Atene, fatta chiudere da Giustiniano nel 529. Gli autori sono concordi nel presentare Ipazia come intelligente, bella, generosa. All’inizio del V secolo Alessandria era un centro commerciale e culturale tra i più importanti dell’impero romano d’Oriente e pure una città turbolenta per la presenza di tre gruppi religiosi che si facevano guerra: ebrei, cristiani e pagani. Ma vediamo i testi a partire dall’epigramma di Pallada: “Quando ti osservo, mi prostro davanti a te e alle tue parole,/vedendo la casa astrale della vergine,/infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto/Ipazia sacra, bellezza delle parole,/astro incontaminato della cultura”. Ipazia nacque intorno al 370. Suo padre Teone le insegnò le scienze matematiche. La discepola divenne presto più brava del maestro. Diresse la scuola neoplatonica. Era ascoltata dal popolo e consultata dai potenti per la magnifica libertà di parola, per il fatto che era dialettica nei suoi discorsi e per le sue competenze matematiche, geometriche, astronomiche e filosofiche. Per tali motivi suscitò invidia, l’anima della congiura dei mediocri contro l’individuo eccezionale. La mente del complotto era Cirillo: la venerazione e il prestigio che pretendeva come capo della religione vincente, andavano a una pagana, a una femmina! Il rancore divenne pernicioso, per Ipazia, quando l’iniquo prelato vide una ressa di uomini davanti alla casa di lei. Motivi sessuali non c’erano: Damascio racconta che la donna era vergine, sebbene facesse innamorare molti, e, addirittura, a un uomo malato d’amore, “gettò una delle pezze usate per il mestruo e gli disse: questo tu ami, giovane, niente di bello”. Cirillo “si rodeva a tal punto che tramò la sua uccisione, fra tutte la più empia”. Si può dire di Ipazia quanto P. B. Shelley scrisse dell'eroina di Sofocle: “Che sublime ritratto di donna! Alcuni fra noi, in una precedente esistenza, si sono innamorati di un'Antigone: ecco perché non troveranno mai completa soddisfazione in un legame mortale!”.
Ma torniamo ad Alessandria. Negli anni precedenti l’imperatore Teodosio “il Grande” aveva fatto distruggere gli edifici ellenici del culto e della cultura, e aveva promosso una serie di provvedimenti giuridici avversi al paganesimo. Teofilo, vescovo della città dal 385 al 412, un uomo violento, aveva eseguito con sadica sollecitudine, e Cirillo ne fu il degno erede e prosecutore, fino alla morte (444). Quindi venne proclamato Santo e Padre della Chiesa. Costui detestava Ipazia che parlava nell’agorá, liberamente, culturalmente e politicamente. Il suo magistero rappresentava una resistenza alla volontà di cancellare il pensiero e l’arte dei Greci. Il vescovo non sopportava che Ipazia fosse la stella polare per tanti, a partire dal prefetto augustale Oreste, odiato anche lui dalla gerarchia ecclesiastica al punto che uno dei parabalani, Ammonio, lo ferì gravemente, colpendolo in testa con una pietra. Questo sicario venne processato secondo la legge e lasciato morire sotto tortura. Quindi Cirillo ne fece collocare il corpo in una chiesa, ne cambiò il nome in Thaumasios (ammirevole) e lo encomiò quale martire della religione cristiana. Sembra prefigurare il bandito della Magliana sepolto con i pii prelati. Nel 415 l’impero d’Oriente era retto da Pulcheria, figlia di Arcadio e nipote di Teodosio: ebbene costei era alleata di Cirillo. Ciò nondimeno “i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da Ipazia”, racconta Damascio. Cirillo bruciava di odio implacabile.
Vediamo la morte di Ipazia. Tornano in azione le squadracce che avevano tentato di uccidere Oreste. “Siccome ella si incontrava spesso con Oreste, l’invidia mise in giro la calunnia che fosse lei a non permettere che il prefetto si riconciliasse con il vescovo. Allora alcuni uomini infiammati si appostarono per sorprendere la donna mentre tornava a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa denominata Cesario.
Qui, strappatale la veste, la uccisero con dei cocci (ostrákois). Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, cancellarono ogni traccia di lei con il fuoco”. Fu attuata una forma inaudita, violentissima, di ostracismo. “Questo-conclude Socrate Scolasticoprocurò biasimo non piccolo a Cirillo e alla Chiesa di Alessandria ”. Un biasimo santo che si rinnova con il film Agorà. Con l’assassinio di Ipazia si chiuse un’epoca. Oramai i templi degli dèi e della cultura pagana, in primis il Serapeo con le sue biblioteche, erano stati distrutti, oppure snaturati come il Cesario trasformato in cattedrale cristiana, e Alessandria era stata svuotata della sua vita culturale, privata dei suoi studiosi, ammazzati o costretti alla fuga.