domenica 30 dicembre 2012

L' ELMO VITTORIA DELLA IL TROFEO CHE UNÌ SIRACUSA E OLIMPIA

L' ELMO VITTORIA DELLA IL TROFEO CHE UNÌ SIRACUSA E OLIMPIA
GIUSEPPE VOZA
La Repubblica 17/11/2012, pagina 19, sezione PALERMO

Nel momento in cui i grandi musei in Italia e nel mondo propongono sempre più mostre di grandi scultori, pittori e architetti, di capolavori dell' antichità sceltissimi, mozzafiato, a Siracusa nel Museo Archeologico Paolo Orsi, che ha nel suo Dna il sempre dichiarato impegno di mostrare oggetti-documento, "portatori di storia", finalmente una mostra che si incentra sulla proposta di un elmo greco di età classica che non è certo un capolavoro della bronzistica, ma è sicuramente "pesante", carico di storia e di grande significato. È da molti anni che la direzione del Museo di Siracusa aveva pensatoa un simile evento finalmente realizzato con grandissima soddisfazione dell' exassessore regionale ai Beni culturali Amleto Trigilia, del direttore del Museo Beatrice Basile e del suo efficientissimo staff. Di fronte a un evento del genere la prima cosa di cui ci si rende conto è quella, al limite, di come sia possibile "fare museo" con un' opera sola, come sostiene Umberto Eco, convinto che, con esposizioni particolari, proprio come quella apprezzabilissima di Siracusa, si può «entrare veramente dentro una sola opera». Ma quali sono i valori che l' elmo mette in evidenza e il significato di fondo che piace evidenziare? Prima di tutto, come è stato ampiamente rilevato durante la presentazione della mostra, il grande valore storico del documento esposto. L' elmo - rinvenuto nel 1817 presso Olimpia da un diplomatico inglese, passato nelle mani del generale Patrik Ross, da questi donato a Giorgio IV e poi pervenuto nelle collezioni del British Museum - era una spoglia della battaglia vinta da Siracusa contro gli Etruschi nelle acque di Cuma nel 474 avanti Cristo, vittoria che, come dice Tucidide, fu una delle più terribilie meravigliose battaglie di mare che siano state combattute nell' antichità. Essa capovolse il corso della storia nell' area tirrenica ponendo fine alla talassocrazia etrusca, cosa celebrata da Pindaro nella Pitica I: «Lunge si freni l' urlo tirreno e il fenicio, veggendo lo scempio di navi nell' acqua di Cuma...». L' elmo è da considerare un trofeo facente parte di quel glorioso bottino di guerra che rappresentò un formidabile strumento propagandistico accuratamente coltivato dalla politica dell' autorappresentazione dei Dinomenidi in tutto il mondo del Mediterraneo, aspetto questo egregiamente evidenziato da Gianfranco Adornato in una relazione tenuta a Siracusa all' inaugurazione della mostra. Ci sfugge, perché non se ne ha notizia- ma non possiamo non pensarci - tutto quanto riguarda il percorso seguito dal trofeo dal momento della vittoria ai rituali della consegna alla città e alla successiva decisione della dedica a Zeus, a Olimpia, nel Santuario dei santuari della Grecia, dopo che abili maestri delle famose officine siracusane vi avevano inciso in greco dorico l' iscrizione che in tutta la sua impressionante sinteticità, compendia ed esprime tutto l' orgoglio e il peso della storica vittoria: «Ierone il Dinomenide e i Siracusani (dedicarono) a Zeus (spoglia) dei Tirreni da Cuma». Certo particolarissimo rilievo avrà avuto anche la cerimonia della offerta degli elmi a Olimpia, fulcro del legame di Siracusa con la grecità, luogo dove già Gelone, fratello di Ierone, dopo la formidabile vittoria sui Cartaginesi a Imera nel 480 a. C., aveva dedicato un thesauros. Olimpia che con la foce dell' Alfeo segna il punto fisicamente più vicino della Grecia alla Sicilia, dove è Siracusa e la fonte Aretusa, alimentata, secondo un' antica leggenda, dalle acque dell' Alfeo giunte in Sicilia attraverso il mare. La fonte detta da Pindaro «fulgida requie di Alfeo» è il luogo sacro in cui si conclude la «delicata leggenda» d' amore fra il dio fluviale e l' ancella di Artemide. È ancora il mito, con la leggenda risalente a Ibico, poeta del VI sec. a. C., a ricordare come una coppa gettata nell' Alfeo a Olimpia sia riapparsa alla fonte Aretusa! Ma i dati archeologici non hanno mancato di dare forza e concretezza alle tradizioni mitiche. Si sa, infatti, che Artemide, vertice del pantheon di Siracusa, alla quale era dedicato il santuario centrale della città, aveva il culto alle foci dell' Alfeo, il dio che l' aveva amata, alla quale nella saga subentrò Aretusa il cui culto passò in Sicilia, localizzato nella famosa fonte. E Artemide e Alfeo ebbero un altare comune nel Santuario di Olimpia nel luogo simbolo dell' unità dei Greci, realizzata nel periodo degli agoni olimpici che ancora oggi significano comunanza fra tutti i popoli liberi della terra ed è, certo, sullo spirito di Olimpia che si fonda il rapporto che lega strettamente Siracusa con la terra greca. Di questi valori vivi attivi e permanenti nel nostro patrimonio culturale è testimonianza eloquente il pezzo principe della mostra siracusana.

lunedì 27 agosto 2012

Scoperto a Selinunte un tempio di 2600 anni fa

Scoperto a Selinunte un tempio di 2600 anni fa
Paola Nicita
12 LUGLIO 2012, LA REPUBBLICA - Palermo
IMPORTANTE scoperta archeologica a Selinunte. Gli scavi portano alla luce un tempio più antico di quelli conosciuti, e permettono la datazione del sito tra il 630 e il 650 avanti Cristo. Insieme al tempio dalle colonne in legno, sottostante al Tempio R, affiorano oggetti votivi di grande bellezza, come un flauto d’osso, un frammento ceramico attico, un braccialetto e una effigie femminile che attribuisce la dedica del sito a Demetra.

È il più antico tempio di Selinunte, che con il suo carico di mistero porta con sé molte novità: prima fra tutte la datazione del sito, intanto, che per la prima volta si lega con certezza ad uno scavo archeologico, e segna la data del 650 — 630 avanti Cristo, confermando così la tesi dello storico Diodoro.

Il tempio arcaico, rinvenuto sotto il pavimento del tempio R è una vera miniera: sotto la pavimentazione, la campagna di scavi condotta dal dipartimento dei Beni culturali, Parco Archeologico di Selinunte e Institute of Fine Arts della New York University, con l’équipe guidata da Clemente Marconi, ha rilevato la presenza di due grandi fori per pali legno, che dovevano costituire il colonnato centrale, e vari oggetti, come un flauto d’osso, una punta di freccia, una vaso protocorinzio e una statuetta votiva.

Caterina Greco, archeologa responsabile del Parco di Selinunte, spiega: «Questi fori sono da attribuirsi al posizionamento del colonnato in legno, centrale rispetto al sito sacro. Insieme a questi fori, sono stati ritrovati molti elementi votivi, e ceramiche datate introno al 650 avanti Cristo, elementi che permettono di riscrivere la storia della città di Selinunte, confermando che c’è ancora molto da scavare e da scoprire».

Il tempio R è un edificio sacro senza colonne, tra i più antichi, ma tra i meno indagati: i saggi condotti al di sotto del sito, hanno rilevato una stratigrafia complessa, che va dall’età classica a quella arcaica; scavando oltre la fondazione, sono emersi i resti di un edificio più antico, sottostante al tempio R.

«Prima d’ora non si era mai potuta attribuire con certezza la dedica del santuario ad una data divinità — prosegue Caterina Greco — Grazie ai reperti rintracciati con questa campagna di scavi, il nome di Demetra appare molto probabile. Lo testimonierebbero le statuette fittili con effigi femminili. E poi, se la data di fondazione e quella del tempio sottostante coincidono, occorre ricordare che la fondazione di Selinunte, è avvenuta con la presenza dei Megaresi, e quindi la divinità protettrice di questo luogo è proprio Demetra. Nell’edificio meno appariscente è custodita la storia più antica, e più importante, di Selinunte».

Di templi con il colonnato in legno ce ne sono pochissimi in tutto il mondo: la precarietà dei materiali e la successiva edificazione soprastante, uniti ad un implacabile trascorrere del tempo, hanno fatto sì che di queste testimonianze si contino sulle dita di una mano. «I precedenti — spiega la responsabile del Parco — si possono individuare a Megara Iblea, sempre in Sicilia, e in Grecia, in Eubea».
In età ellenistica, verso il 300 avanti Cristo, l’interno del tempio R fu colmato con uno spesso riempimento, con tegole, terra e anfore, alto più di un metro. Il risultato è avere integralmente sigillato i livelli arcaici e classici del Tempio R, facendo oggi ritrovare perfettamente conservato il piano pavimentale del V secolo. «L’analisi fino ad ora condotta — dice la Greco — ha permesso di rintracciare dei frammenti e degli oggetti di grande rilievo, che ci raccontano quale importanza sociale, strategica, economica, avesse la città di Selinunte: per fare un esempio importante, possiamo osservare il frammento di una lekythos attica, un vaso a fondo bianco, sulla quale è dipinto un Efebo accanto all’Erote, figura alata che reca in mano una corona ed è affiancato da una scritta: è un lavoro ascrivibile al pittore ateniese Douris, l’artista ceramico più importante tra gli Ateniesi, che operò nel V secolo avanti Cristo. Un particolare,
questo, che permette di capire quale rilievo e potere avesse Selinunte».
Tra i reperti votivi recuperati, uno si distingue particolarmente per bellezza e assoluta rarità: un flauto realizzato in osso di capra,
presenza di cui si ha notizia solo in un paio di altre occasioni, in tutto il Mediterraneo. «Questo flauto — spiega la direttrice del Parco — fa immaginare una deposizione rituale con corteo musicale, e il sacrificio dell’oggetto musicale, prezioso, racconta dell’importanza votiva della divinità, oltre che della raffinatezza del rito celebrato».

Ancora più antico è il reperto di una punta di freccia, elemento di guerra che ricollega la donazione sacra ad una presenza di soldati, e fa retrodatare il sacrificio ad una cronologia anteriore. Ci sono, poi, alcuni frammenti di terrecotte policrome raffiguranti figure di animali — cervi e antilopi, probabilmente — inserite in festoni con decorazioni geometriche, soprastanti e sottotostanti, una Lekythos protocorinzia, e ancora un braccialetto di bronzo con motivi a rilievo. La direttrice del parco ne è certa: Selinunte ha ancora molte sorprese da svelare.

Clemente Marconi, responsabile dello scavo per la parte americana,
dice chiaro che «questo predecessore del tempio R è uno dei templi più antichi scavati in Sicilia. È una scoperta che dimostra come la costruzione dei templi da dedicare alle principali divinità della polis fosse uno degli atti che venivano eseguiti contestualmente alla fondazione delle colonie».

«Questo scavo — conclude l’assessore ai Beni culturali Sebastiano Missineo — è la prova che possediamo un giacimento di tesori ancora da esplorare».

lunedì 30 luglio 2012

Selinunte. Tempio nascosto sotto il Tempio

Selinunte. Tempio nascosto sotto il Tempio
Clemente Marconi
Il sole 24 ore – Domenica 15/7/2012
Gli scavi nell'edificio R di Selinunte hanno portato in luce un sito religioso sottostante più antico con molti oggetti votivi: statue, vasi dipinti, monili e persino un flauto Nel 2006 l'Institute of Fine Arts della New York University ha intrapreso, sotto la mia direzione e in collaborazione prima con la Soprintendenza beni culturali e artistici di Trapani e ora con il Parco archeologico di Selinunte, una missione di ricerca topografica, architettonica e archeologica nel settore meridionale del grande santuario urbano di Selinunte, l'area di culto più importante della colonia megarese, fondata secondo le fonti verso la metà o il terzo quarto del settimo secolo a.C. Questo settore meridionale del santuario è dominato dalla mole del Tempio C, il grande tempio di Apollo il cui colonnato nord fu parzialmente risollevato negli anni Venti su espressa richiesta di Benito Mussolini. Subito a sud del Tempio C sono i resti, rispettivamente, di uno dei più recenti (Tempio B), e uno dei più antichi (Tempio R) templi di questo eccezionale sito archeologico della Sicilia occidentale. I primi anni delle nostre ricerche si sono concentrati sul Tempio B, un tempio prostilo tetrastilo su podio databile al 300 a.C., anni in cui Selinunte era sotto il controllo di Cartagine. Il Tempio B, una pietra miliare nella storia della riscoperta moderna della policromia dell'architettura greca, è uno dei principali esempi di edilizia sacra in Sicilia in età ellenistica, e solleva questioni importanti per un'epoca come la nostra, interessata ai problemi dell'identità culturale e del suo riflesso nell'architettura e nelle pratiche rituali: si tratta infatti di un edificio di culto di carattere schiettamente greco, costruito però in una città di frontiera caratterizzata da una popolazione mista greca e punica, quale Selinunte tra IV e III secolo. Non meno significativi sono i quesiti sollevati dal secondo edificio nella nostra area di indagine, quel Tempio R noto altresì come Megaron (un termine usato al principio del Novecento che alludeva alla forma molto arcaica della pianta, priva di peri-stasi, e con semplice cella e adyton, considerata un retaggio dell'architettura dell'Età del Bronzo). Scavato negli anni Settanta dell'Ottocento e poi negli anni Venti del Novecento, presentato in tutti i manuali di architettura greca tra gli esempi più antichi di costruzioni templari, oggetto fino ad anni recentissimi di studi nell'ambito di un progetto di ricerca sull'urbanistica punica di Selinunte, il Tempio R custodiva fino a poche settimane fa un segreto fin qui sfuggito a generazioni di studiosi: l'essere interamente sigillato, all'interno della cella, nei suoi livelli di età arcaica e classica, da uno spesso riempimento alto più di un metro, databile al 300 a.C., e accuratamente composto di livelli susseguentisi di tegole, terra e anfore da trasporto. Questo riempimento è risultato contenere altri materiali per sé molto significativi, come i frammenti di una lekythos attica a fondo bianco (circa 480 a.C.) confrontabile in stile con analoghe opere del pittore Douris, o i frammenti delle terrecotte architettoniche policrome del Tempio Cedi altri edifici arcaici dell'Acropoli. Il significato principale del riempimento però, come accennato, è stato quello di avere integralmente sigillato i livelli arcaici e classici del Tempio R, fin qui mai indagati: a circa duecento anni dall'inizio delle ricerche archeologiche a Selinunte, uno dei templi più antichi e importanti risulta quindi ancora pressoché intatto nelle sue fasi di vita più significative. Perfettamente conservato è anzitutto il piano pavimentale del V secolo, con abbondanti tracce di incendio e devastazione, e nel quale si sono rinvenute punte di frecce, meglio riferibili alla presa cartaginese della città nel 409 a.C. Ancor meglio leggibile è il piano pavimentale di età arcaica: questo includeva, accuratamente incastrata nel pavimento all'interno della cella, una statuetta in terracotta della dea del tempio (più probabilmente Demetra), con basso polos e ampio mantello, databile con precisione agli anni intorno al 570 a.C. Contro i muri est e sud dell'edificio, all'interno della cella, si sono poi rinvenute numerose offerte votive, disturbate in minima parte in occasione della messa in opera del nuovo pavimento di età classica: queste includono un numero significativo di vasi con funzione rituale, ceramica importata e terrecotte figurate, armi in ferro e in bronzo, ed elementi di ornamento personale, come braccialetti e vaghi di collana o un pendente configurato a torello in fayence di produzione egizia o fenicia. Particolarmente significativo, tra queste offerte votive, un flauto in osso, ben conservato per due terzi della lunghezza originaria, e deposto attorno al 570 a.C. assieme a un piccolo vaso corinzio. La dedica del flauto fa chiaramente riferimento a performances musicali e danze collegate al culto della dea, raffigurate su una serie di vasi corinzi dedicati nell'area del Tempio Re rinvenuti nei nostri scavi degli anni precedenti. Al tempo stesso, questo flauto non può non richiamare alla mente Teleste, poeta di ditirambi originario di Selinunte, attivo verso il 400 a.C. e vincitore ad Atene nel 402-401: addirittura Alessandro Magno amava portarne con sé, in battaglia, le poesie. A Teleste (citato da Ateneo) risale appunto una delle celebrazioni più interessanti del suono del flauto nella letteratura antica, «arte saggia», «soffio nebuloso della sacra dea - Atena - spinto dall'agilità delle splendide mani, rapide come le ali». Di fondamentale importanza, dal punto di vista archeologico, è stato il rinvenimento, sotto la preparazione del pavimento del tempio del 570, dei resti di un tempio più antico di grandi dimensioni, del quale si erano già identificati parte dei muri e del pavimento nelle campagne precedenti: quest'estate, in particolare, sono stati messi in luce due fori di palo di grandi dimensioni, che si possono meglio interpretare come i resti del colonnato centrale. La ceramica rinvenuta in prossimità dei fori di palo data inequivocabilmente al 650-630, inclusa una grande lekythos del Protocorinzio Medio-Tardo con animali pascenti. Questo predecessore del Tempio R risulta allo stato il tempio più antico di Selinunte, e uno dei templi più antichi fin qui scavati in Sicilia. Il proseguire delle ricerche fornirà ulteriori chiarimenti circa le dimensioni e la pianta dell'edificio: si tratta comunque di una scoperta notevole, che dimostra come la definizione delle aree di culto centrali e la costruzione dei templi poliadici fosse uno degli atti eseguiti alla fondazione delle colonie - come ripetutamente sottolineato dalle fonti letterarie antiche - e non piuttosto un fenomeno di una o due generazioni più tardi, come suggerito dalla letteratura più recente.

domenica 22 aprile 2012

Onora il tuo Scudo




"Questo è il mio scudo
Lo porto con me in battaglia ma non è solo mio.
Protegge mio fratello sulla sinistra.
Protegge la mia città.
Farò in modo che mio fratello sia sempre sotto la sua ombra
e che la mia città sia sempre al riparo di esso.
Morirò con il mio scudo guardando in faccia il nemico."

Steven Prassfield - "Le porte di fuoco"

[ Và e riferisci agli spartani,
o straniero che passi,
che obbedienti al loro comando
noi qui giaciamo. ]