venerdì 24 dicembre 2010

La Città dei Filosofi. Storia di Atene da Marco Aurelio a Giustiniano

La Città dei Filosofi. Storia di Atene da Marco Aurelio a Giustiniano
con Un'Appendice su "'Atene Immaginaria" nella Letteratura Bizantina.
Marco Di Branco
Leo S. Olschki, 2006.

Il lettore non specialista che abbia la curiosità di conoscere le vicende di Atene tardoromana e bizantina deve oggi ancora rivolgersi alla celebre Geschichte der Stadt Athen im Mittelalter di Ferdinand Gregorovius, peraltro mai tradotta in italiano. Eppure negli ultimi anni la ricerca ha fatto registrare enormi progressi, dovuti in larga misura agli scavi dell'agorâ ateniese condotti dall'American School of Athens. Tuttavia è mancato finora un tentativo di approccio globale, che si proponesse di individuare le linee generali della storia economica, politica, culturale e religiosa della città tra II e VI secolo d.C. Con il lavoro che qui si propone si vorrebbe dunque colmare una lacuna negli studî ateniesi, offrendo una sintesi completa su un periodo di particolare interesse per la storia di Atene: in quest'epoca infatti la città fu sede delle grandi scuole sofistiche, nelle quali affluirono studenti da ogni parte dell'impero, e della famosa scuola neoplatonica, dove si elaborarono i fondamenti del pensiero filosofico tardoantico e bizantino; in questi stessi anni, la città-simbolo del paganesimo ellenistico-romano è costretta ad affrontare la nuova realtà del cristianesimo in espansione, e ciò dà origine a interessanti fenomeni sia sul piano più specificamente religioso e filosofico sia su quello politico e sociale. In epoca tardoantica Atene, la città-simbolo del paganesimoellenistico-romano, sede delle grandi scuole sofistiche e della famosa scuolaneoplatonica dove si elaborarono i fondamenti del pensiero filosoficomedievale, è costretta ad affrontare la nuova realtà del cristianesimo inespansione, e ciò dà origine a interessanti fenomeni religiosi, filosoficipolitici e sociali. Questo lavoro offre una sintesi completa su questostraordinario periodo della storia della città. Il volume contiene ancheun'appendice su Atene immaginaria nella letteratura bizantina.

sabato 20 novembre 2010

Rovine del Tempio di Jupiter Ammon

                                                              Rovine del Tempio di Jupiter Ammon

domenica 7 novembre 2010

Atena


                                                                          Atena

venerdì 29 ottobre 2010

Hygieia e Eros

                                                            Hygieia e Eros

sabato 23 ottobre 2010

Colosseo

                                                                           Colosseo

giovedì 21 ottobre 2010

Asklepios e Telesphoros

                                                                 Asklepios e Telesphoros

sabato 16 ottobre 2010

Una Musa

                                                                       Una Musa

giovedì 7 ottobre 2010

Afrodte


                                                                          Afrodite

giovedì 2 settembre 2010

L’invenzione dell’altalena che salvò le ragazze di Atene

Corriere della Sera 28.8.10
L’invenzione dell’altalena che salvò le ragazze di Atene
di Eva Cantarella

Pochi giochi ci hanno reso felici, nell’infanzia, come l’altalena: la sensazione di volare, di toccare il cielo, il vento tra i capelli… Un gioco semplice, universale. Vien fatto di pensare che sia sempre esistito. Ma i greci non la pensavano così. L’altalena, per loro, aveva un luogo e un momento di nascita ben precisi, e anche, quantomeno ad Atene, una importantissima funzione sociale. A raccontarci quale fosse questa funzione è, come sempre, un mito. Nella specie, un mito poco noto, ma legato a uno celeberrimo: quello degli Atridi raccontato da Eschilo nell’Orestea. La perfida Clitennestra, che d’accordo con il suo amante Egisto ha ucciso il marito Agamennone, viene uccisa dal figlio Oreste, che vuole — e nella mentalità dell’epoca deve — vendicare il padre. Ma, anche in quel mondo, il terribile mondo della vendetta, il matricidio è una colpa inespiabile. Perseguitato dal rimorso Oreste fugge, inseguito, oltre che dalle Erinni che vogliono fargli pagare il terribile gesto, anche dalla sorellastra Erigone, la figlia che Clitennestra ha avuto da Egisto. Ma quando giunge ad Atene Oreste viene assolto: «Il vero genitore — decreta la dea Atena, esprimendo quel che pensavano se non tutti, quantomeno molti greci — non è la madre, bensì il padre». A questo punto Erigone, disperata, si impicca. Senonché, quando la notizia si sparge, le vergini ateniesi, come se fossero state contagiate, prendono a impiccarsi in massa. La città rischia di estinguersi. Preoccupatissimi, gli ateniesi si precipitano a interpellare l’oracolo di Apollo, che suggerisce un rimedio: basta costruire delle altalene, così che le ragazze possano dondolarsi nell’aria, come quelle che si impiccano, ma senza perdere la vita. La città è salva, gli ateniesi sono felici, le ragazze ateniesi ancor più di loro, e l’altalena diventa il gioco preferito delle ragazze di tutti i tempi.

giovedì 22 aprile 2010

Ipazia, la congiura dei mediocri

il Fatto 22.4.10
Ipazia, la congiura dei mediocri
In attesa di Agorà, ecco chi era la filosofa che diresse la scuola neoplatonica
Era ascoltata dal popolo e consultata dai potenti: per questo fu uccisa
di Giovanni Ghiselli

Sta per uscire Agorà, il film di Amenábar su Ipazia, una donna di grande levatura uccisa nel 415 d. C. da monaci fanatici detti parabalani, un’orda sanguinaria istigata al massacro dal vescovo Cirillo di Alessandria d’Egitto. Aspettando l’opera cinematografica, scopriamo chi era questa martire del pensiero. Utilizzerò fonti antiche: la Storia Ecclesiastica di Socrate Scolastico, le Epistole di Sinesio, un discepolo di Ipazia, neoplatonico e pure cristiano illuminato, che divenne vescovo di Tolemaide e morì poco prima di lei, rimpiangendone lo “spirito divinissimo”, poi un epigramma di Pallada, un maestro allontanato dalla scuola in quanto non cristiano, tutti contemporanei di Ipazia. Inoltre, la Vita di Isidoro di Damascio, ultimo scolarca dell’Accademia neoplatonica di Atene, fatta chiudere da Giustiniano nel 529. Gli autori sono concordi nel presentare Ipazia come intelligente, bella, generosa. All’inizio del V secolo Alessandria era un centro commerciale e culturale tra i più importanti dell’impero romano d’Oriente e pure una città turbolenta per la presenza di tre gruppi religiosi che si facevano guerra: ebrei, cristiani e pagani. Ma vediamo i testi a partire dall’epigramma di Pallada: “Quando ti osservo, mi prostro davanti a te e alle tue parole,/vedendo la casa astrale della vergine,/infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto/Ipazia sacra, bellezza delle parole,/astro incontaminato della cultura”. Ipazia nacque intorno al 370. Suo padre Teone le insegnò le scienze matematiche. La discepola divenne presto più brava del maestro. Diresse la scuola neoplatonica. Era ascoltata dal popolo e consultata dai potenti per la magnifica libertà di parola, per il fatto che era dialettica nei suoi discorsi e per le sue competenze matematiche, geometriche, astronomiche e filosofiche. Per tali motivi suscitò invidia, l’anima della congiura dei mediocri contro l’individuo eccezionale. La mente del complotto era Cirillo: la venerazione e il prestigio che pretendeva come capo della religione vincente, andavano a una pagana, a una femmina! Il rancore divenne pernicioso, per Ipazia, quando l’iniquo prelato vide una ressa di uomini davanti alla casa di lei. Motivi sessuali non c’erano: Damascio racconta che la donna era vergine, sebbene facesse innamorare molti, e, addirittura, a un uomo malato d’amore, “gettò una delle pezze usate per il mestruo e gli disse: questo tu ami, giovane, niente di bello”. Cirillo “si rodeva a tal punto che tramò la sua uccisione, fra tutte la più empia”. Si può dire di Ipazia quanto P. B. Shelley scrisse dell'eroina di Sofocle: “Che sublime ritratto di donna! Alcuni fra noi, in una precedente esistenza, si sono innamorati di un'Antigone: ecco perché non troveranno mai completa soddisfazione in un legame mortale!”.
Ma torniamo ad Alessandria. Negli anni precedenti l’imperatore Teodosio “il Grande” aveva fatto distruggere gli edifici ellenici del culto e della cultura, e aveva promosso una serie di provvedimenti giuridici avversi al paganesimo. Teofilo, vescovo della città dal 385 al 412, un uomo violento, aveva eseguito con sadica sollecitudine, e Cirillo ne fu il degno erede e prosecutore, fino alla morte (444). Quindi venne proclamato Santo e Padre della Chiesa. Costui detestava Ipazia che parlava nell’agorá, liberamente, culturalmente e politicamente. Il suo magistero rappresentava una resistenza alla volontà di cancellare il pensiero e l’arte dei Greci. Il vescovo non sopportava che Ipazia fosse la stella polare per tanti, a partire dal prefetto augustale Oreste, odiato anche lui dalla gerarchia ecclesiastica al punto che uno dei parabalani, Ammonio, lo ferì gravemente, colpendolo in testa con una pietra. Questo sicario venne processato secondo la legge e lasciato morire sotto tortura. Quindi Cirillo ne fece collocare il corpo in una chiesa, ne cambiò il nome in Thaumasios (ammirevole) e lo encomiò quale martire della religione cristiana. Sembra prefigurare il bandito della Magliana sepolto con i pii prelati. Nel 415 l’impero d’Oriente era retto da Pulcheria, figlia di Arcadio e nipote di Teodosio: ebbene costei era alleata di Cirillo. Ciò nondimeno “i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da Ipazia”, racconta Damascio. Cirillo bruciava di odio implacabile.
Vediamo la morte di Ipazia. Tornano in azione le squadracce che avevano tentato di uccidere Oreste. “Siccome ella si incontrava spesso con Oreste, l’invidia mise in giro la calunnia che fosse lei a non permettere che il prefetto si riconciliasse con il vescovo. Allora alcuni uomini infiammati si appostarono per sorprendere la donna mentre tornava a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa denominata Cesario.
Qui, strappatale la veste, la uccisero con dei cocci (ostrákois). Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, cancellarono ogni traccia di lei con il fuoco”. Fu attuata una forma inaudita, violentissima, di ostracismo. “Questo-conclude Socrate Scolasticoprocurò biasimo non piccolo a Cirillo e alla Chiesa di Alessandria ”. Un biasimo santo che si rinnova con il film Agorà. Con l’assassinio di Ipazia si chiuse un’epoca. Oramai i templi degli dèi e della cultura pagana, in primis il Serapeo con le sue biblioteche, erano stati distrutti, oppure snaturati come il Cesario trasformato in cattedrale cristiana, e Alessandria era stata svuotata della sua vita culturale, privata dei suoi studiosi, ammazzati o costretti alla fuga.

mercoledì 17 febbraio 2010

Avvicinarsi ad Ipazia

Avvicinarsi ad Ipazia
Massimo Fagioli: "Ipazia aveva proposto la ricerca che mirava a realizzare l’identità della donna, e si era fermata alla razionalità greca perché aveva intuito che, nel cristianesimo, non c’era nessuna possibilità di realizzazione per l’umanità della femmina della specie... abbiamo scoperto il senso della parola diverso e sappiamo che quando abbiamo perso la coscienza, il pensiero è immagine diversa dalla veglia e ragione. Ed un volto uguale ma diverso è un’immagine di donna per l’uomo, un’immagine di uomo per il corpo di donna... che va fuori di sé, nell’altro."

Avvicinarsi a Ipazia

lunedì 8 febbraio 2010

Sulle tombe dei punici dieci anni di guerra fra la storia e il cemento

Sulle tombe dei punici dieci anni di guerra fra la storia e il cemento
Francesca Ortalli
L'Unità 08/02/2010

Ancora una volta è una sentenza del Consiglio di Stato a salvare il paesaggio dalle mani invasive dei costruttori. Stop alle betoniere che stavano devastando una necropoli, una zona unica nel suo genere che proprio dagli amministratori dovrebbe essere tutelata e protetta. Invece capita che in Sardegna, lembo di terra sospeso su uno dei mari pi belli del Mediterraneo, pezzi di territorio comuni siano spesso svenduti o regalati a chi su quei paesaggi mozzafiato, zone archeologiche comprese, vuole semplicemente fare soldi. Era già successo con Cala Giunco, sottratta giusto in tempo ai mega progetti espansionistici dell'imprenditore-editore Sergio Zuncheddu. Ed è successo ancora anche con Tuvixeddu. La storia inizia nel 2000 quando fu firmato l'accordo di programma tra Regione, guidata allora da Mario Floris, il Comune di Cagliari (sindaco Mariano Delogu oggi senatore del Pdl) e l'impresa di Cualbu. Tuvixeddu finiva di essere una necropoli. Qui la Nuova Iniziativa Coimpresa di Gualtiero Cualbu aveva pensato di edificare un complesso residenziale di centocinquantamila metri cubi: al posto delle tombe, palazzine eleganti, fioriere e viali alberati per accontentare gli esigenti clienti. Le betoniere si mettono in moto nel 2006. La chiamarono «riqualificazione ambientale» quell'investimento da settanta milioni di euro che sventrava la colline e devastava le tombe. Lo sfascio è ancora oggi sotto gli occhi di tutti. Ma la giunta regionale guidata allora da Renato Soru non ci sta. Con una delibera urgente blocca i lavori senza troppi complimenti: quel paesaggio va tutelato, non ci sono accordi di programma che tengano. Da lì inizia un lungo braccio di ferro legale con la Nuova Iniziativa Coimpresa. Interviene il mondo della cultura, lo stesso Giovanni Lilliu supplica la politica di salvare quel colle simbolo della storia antica di tutti i sardi. Cualbu non sente ragioni: c'è un accordo di programma firmato e sottoscritto e quindi si va avanti. Il 25 agosto del 2008 arrivano anche il nullaosta paesaggistico da parte del Comune (guidato da Emilio Floris, Pdl). È il settembre del 2008 quando il TAR sancisce il diritto dell'imprenditore a costruire sul quella zona e respinge la delibera con la quale la giunta Soru aveva stoppato le ruspe. Ma il dodici settembre dello stesso anno l'allora Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici della Sardegna, Fausto Marino annulla l'autorizzazione concesse dal Comune. Altro ricorso al Tar fino alla sentenza n. 00542 del 20 aprile 2009: Cualbu e il Comune di Cagliari avevano ragione. Per Tuvixeddu sembra arrivata la fine. La Soprintendenza però non si arrende e ricorre al Consiglio di Stato. Che, finalmente, con sentenza definitiva e quindi inappeliabile, da ragione alla Soprintendenza. Nel frattempo nell'aprile del 2009 la procura di Cagliari apre due fascicoli. Nel primo, l'ex governatore della Regione Renato Soru e l'ex assessore ai lavori pubblici Carlo Mannoni sono indagati per abuso d'ufficio per l'affidamento diretto all'architetto francese Gilles Clement del progetto di riqualificazione di tutta l'area. Il secondo invece, vede indagati lo stesso Gualtiero Cualbu insieme all'ex sovrintendente ai beni archeologici Vincenzo Santoni, e alla figlia Valeria Santoni, con le accuse di falso e concorso in abuso d'ufficio. Nei giorni scorsi il pm Daniele Caria ha chiesto l'archiviazione di tutti gli indagati tranne che per Vincenzo Santoni. Nelle oltre venti pagine della relazione, il pm Daniele Caria getta alcune ombre sulle decisioni dell giudici del Tar. In buona sostanzaL la tutela del paesaggio è di competenza esclusiva dello Stato e quindi U'accordo del duemila poteva essere cancellato alla luce dei fatti nuovi. Il Tar inoltre aveva deciso solo sulla base delle dichiarazioni di Santoni che negava qualsiasi ritrovamento significativo a partire dal 97. Falso, come risulta dalle relazioni della funzionaria Donatella Salvi (mille ritrovamenti negli ultimi anni). Per Caria quindi il silenzio di Santoni servì per aiutare la figlia alle dipendenie di Cualbu. Sorti e Mannoni invece con la riqualificazione dell'area avevano un altro obiettivo; quello di tutelare un bene comune. Cosa rara, a quanto pare, da dover essere messa nera su bianco.

sabato 16 gennaio 2010

Pinax

Pinax

Sileno



Giovanni Pascoli
dai "Poemi Conviviali"
Sileno

- Figlio di Pan, figlio del dio silvestre
che nei canneti sibila e frascheggia,
là, nell'Asopo, e frange a questa rupe
il lungo soffio della sua zampogna;
tornar nell'ombra io volli a te, Sileno,
ora che tace la diurna rissa
del maglio e della roccia, or che non odo
più lime invide, più trapani ingordi;
or che gli schiavi qua e là sdraiati
sognano fiumi barbari; e la luna
prendendo il monte, il monte di Marpessa,
piove un pallore in cui tremola il sonno.
Sono un fanciullo, sono anch'io di Paro;
Scopas il nome; palestrita: ed oggi,
coronato di smilace e di pioppo,
correvo a gara con un mio compagno:
e giunsi qui dove gl'ignudi schiavi
Paflàgoni con cupi ululi in alto
tender vedevo intorno ad una rupe
le irsute braccia ed abbassar di schianto.
Ecco, il compagno rimandai soletto
al grammatista e al garrulo flagello;
ma io rimasi ad ammirar gl'ignudi
schiavi intorno la rupe alta ululanti.
Su sfavillìo di cunei l'arguto
maglio cadeva; e io seguia con gli occhi
l'opera grande della breve bietta,
ch'entra sottile come la parola,
poi sforza il masso, come quella il cuore;
quando, con uno scroscio ultimo, il blocco
s'aprì, mostrando, come in ossea noce
bianco gariglio, te di Pan bicorne
figlio, o Sileno: e tu ridevi al sole
riscintillante sopra l'ulivete;
e tu puntavi con l'orecchie aguzze
l'aereo mareggiar delle cicale.
Ma che mai cela questa rupe? Io venni
a domandarti perché mai sorridi
solo, costì, col tuo marmoreo volto,
e come tendi le puntute orecchie
al sibilìo de' fragili canneti.
Od altro ascolti e vedi altro, Sileno?

Scopas, alunno dell'alpestre Paro,
così parlava al candido Sileno
figlio improvviso della roccia, nato
sotto martelli immemori di schiavi.
Il giovinetto gli sedea di contro
sopra un macigno, con al vento i bruni
riccioli, in mezzo a molti blocchi sparsi,
come il pastore tra l'inerte gregge.
E gli rispose il candido Sileno,
o parve, a un tratto con un volger d'occhi
simile a lampo che vaporò bianco
e scavò col fugace alito il monte.
Ed a quel lampo il giovinetto vide
ciò che non più gli tramontò dagli occhi.

Vide, sotto la scorza aspra del monte,
vide il tuo regno, o bevitor di gioia,
vecchio Sileno: una palestra: in essa
sorprese il breve anelito del lampo
in un bianco lor moto i palestriti:
l'ombra seguace irrigidì quel moto
per sempre; e stette nelle braccia tese
degli oculati pugili già pronto
lo scatto di fischiante arco di tasso,
ed alla mano al lanciator ricurvo
restò sospeso impazïente il disco
in cui pulsava il vortice di ruota,
ed alla pianta alta de' corridori
l'impeto rapido oscillò del vento:
gli efebi intenti a contemplar la gara
ressero sul perfetto omero l'asta.
In tanto a luminosi propilei,
con sul capo le braccia arrotondate,
vedeva lente vergini salire:
la pompa che albeggiò per un momento,
eternamente camminò nell'ombra.

Vide, sotto la scorza aspra del monte,
emersa dalle grandi acque Afrodite
vergine, al breve anelito del lampo
che la scopriva, con le pure braccia
velar le sacre fonti della vita:
l'ombra seguace conservò per sempre
la dolce vita ch'esita nascendo.
E vide anche la morte, anche il dolore:
vide fanciulli e vergini cadere
sotto gli strali di adirati numi,
e tutti gli occhi volgere agl'ingiusti
sibili: tutti: ma non già la madre:
la madre, al cielo; e proteggea di tutta
sé la più spaurita ultima figlia.
In tanto le Nereidi dal mare
volsero il collo, con la nivea spinta
del piede su le nuove onde sospesa;
mentre al bosco fuggivano le ninfe
inseguite da satiri correnti
con lor solidi zoccoli di becco;
e un baccanale dileguò sul monte.

Il giovinetto udì strepere trombe,
gemere conche, ed ascoltò soavi,
tra l'immensa manìa bronzosonante,
squillare i doppi flauti di loto.
Ed ecco il monte ritornò com'era,
tacito immoto, se non se nel fosco
gomito d'una forra anche appariva
l'ultimo bianco di lucenti groppe
di centauri precipiti, e sonava
un quadruplice tonfo di galoppo,
che poi vanì. Ma quando tacque il tutto,
oh! come sotto il velo di grandi acque,
s'udiva ancora eco di cembali, eco
di timpani, eco di piovosi sistri;
ed euhoè ed euhoè gridare
come in un sogno, come nel gran sogno
di quelle rupi candide di marmo
dormenti nella sacra ombra notturna.
E con quel grido si mescea nell'eco
il lungo soffio della tua zampogna,
o Pan silvano; e percotea la fronte
del sorridente bevitor di gioia,
e del fanciullo che sedea tra i blocchi,
quale un pastore tra l'inerte gregge.

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nel disegno: Sileno suonatore di flauto