Federazione Pagana: Censimento dei siti e oggetti sacri precristiani: "Censimento dei siti e oggetti sacri precristiani
Esce oggi (anche se la data impressa sul documento è quella di domani, ma siamo riusciti ad accelerare le cose) lo Standard del Censimento dei siti e oggetti sacri precristiani riutilizzati per chiese cristiane (ex Censimento dei templi pagani riutilizzati in o come chiese cristiane), con il primo documento che è il manuale dell'operatore, a cura del Giorno Pagano Europeo della Memoria. Un testo un po' tecnico in certi passaggi, ma sicuramente pieno di informazioni utili anche per chi aspetta solo di poter utilizzare la nuova edizione che seguirà questa pubblicazione dello standard, indicativamente a metà del 2009. Nel manuale infatti trovate una descrizione del progetto, com'è nato e come si svilupperà. Sul sito invece potete seguire l'avanzamento dei lavori.
Ufficializziamo anche il logo del progetto, che è quello sottostante:
Il montaggio coinvolge un tempio e una chiesa non compresi nel censimento: il tempio è quello di Segesta, mentre la chiesa si trova a Trequanda. Tuttavia rende bene, a nostro parere, l'idea di come, sotto a diverse chiese cristiane, si possano trovare i resti di siti sacri precristiani o pagani che dir si voglia."
mercoledì 31 dicembre 2008
lunedì 22 dicembre 2008
Nefertiti. Riparte la caccia alla regina più bella
La Repubblica 22.12.08
Un team tedesco al lavoro nella Valle dei Re il sito archeologico può svelare altri segreti
Nefertiti. Riparte la caccia alla regina più bella
Gli scavi si svolgono sotto tombe individuate decenni fa
di Andrea Tarquini
BERLINO. Si risveglia, alla vigilia delle feste, la leggenda della bellissima Nefertiti. In riserbo, ma solo fino a ieri quando lo ha rivelato l´edizione domenicale del Frankfurter Allgemeine, un team internazionale di archeologi, guidato da Otto Schaden, ha ripreso da novembre a scavare tra i siti tombali della mitica Valle dei Re a Luxor, in Egitto. Schaden e gli altri ricercatori non si sbilanciano, ma speculazioni, rumors e speranze segrete rilanciano la possibilità di trovare infine il sarcofago o la mummia della splendida regina, moglie del faraone Achenaton. O di altri membri della famiglia che, regnando, introdusse brevemente il monoteismo. Come in un romanzo d´avventure, o in un film di Indiana Jones, ma con pieno rigore scientifico, rinasce la grande ambizione dei contemporanei di ritrovare i resti di quei Grandi di millenni e millenni or sono.
«Io non mi abbandono a speculazioni, noi scaviamo e basta. Speriamo però che la prossima stagione di scavi ci porti a nuove informazioni», dice Otto Schaden. Non si presta alle voci sulla speranza di trovare Nefertiti. All´inizio di gennaio egli tornerà in Egitto per la ripresa dei lavori. Quel che conta è che ha l´appoggio del potentissimo Zahi Hawass, il direttore del Supreme council of antiquities, cioè l´authority egiziana per il patrimonio artistico dell´antichità. E´ a Schaden stesso che si deve la scoperta, nel 2006, del sito tombale KV 63. Individuato per caso, come molti altri. Gli scavi ora ripresi si svolgono sotto tombe già individuate decenni fa.
La valle dei re è sempre stata piena di sorprese sensazionali. Nel 1912, Theodore Davis disse «ho la sensazione che ormai abbiamo trovato tutto scavando nella valle», ma appena dieci anni dopo l´archeologo britannico Howard Carter lo smentì, trovando la famosa tomba del faraone Tutankhamon. Il colpo di scena si ripeterà oggi? «E´ ragionevole aspettarsi nuove scoperte», afferma Otto Schaden.
E´ da millenni che la Valle dei Re appassiona, affascina e incuriosisce. Invano i faraoni la progettarono, sperando di riposare in pace nelle loro misteriose tombe sotterranee. Già nel 25 avanti Cristo lo storico e geografo Strabone descrisse la Valle come «un luogo con almeno quaranta cripte reali scavate nelle rocce, che vale la pena visitare». Le tombe erano undici-tredici secoli più vecchie di lui, molti ladri, i tombaroli dell´epoca, ne avevano già saccheggiate alcune.
La leggenda più affascinante resta quella di Nefertiti. Della splendida regina ci resta oggi solo il famoso busto, custodito nel Museo di Berlino. Una delle più belle immagini femminili nell´arte, da quando il genere umano esiste. La meravigliosa Nefertiti era moglie di Akhenaton, il faraone che decise di abolire il mondo politeista dell´antica religione egiziana e impose d´autorità il primo culto monoteista, quello del dio solare Aton. La scelta non piacque a molti. Tutankhamon, considerato probabile figlio di Akhenaton, salì sul trono ad appena nove anni, qualche tempo dopo la morte di Akhenaton, e sotto il suo regno il politeismo fu restaurato.
Ma dove sono oggi i resti di Nefertiti, o di Ankesenpaaton, la figlia di Akhenaton? La caccia è in corso da secoli. Nel 1827 il britannico John G. Wilkinson catalogò i siti tombali, enumerandoli come "KV" (dalle iniziali di Kings´Valley, valle dei re, appunto) più un numero. Nel 1922, Carter scoprì Tutankhamon. Nel 1995 un team guidato da Kent Weeks trovò le presunte mummie di figli di Ramsete II: La scoperta del sito KV 63 è cominciata scavando e trovando i resti di umili capanne degli operai o schiavi che costruirono le tombe. Poi, sotto, sono stati trovati i sarcofagi vuoti. Forse, si pensa da tempo, le sepolture di Akhenaton e della sua famiglia furono traslate altrove dopo il ripristino del politeismo. Il potente Zahi Hawass, che in un primo tempo non ne voleva sapere di nuovi scavi, ha infine dato il suo accordo. E la rincorsa della leggenda ricomincia, laggiù nella Valle dei Re.
Un team tedesco al lavoro nella Valle dei Re il sito archeologico può svelare altri segreti
Nefertiti. Riparte la caccia alla regina più bella
Gli scavi si svolgono sotto tombe individuate decenni fa
di Andrea Tarquini
BERLINO. Si risveglia, alla vigilia delle feste, la leggenda della bellissima Nefertiti. In riserbo, ma solo fino a ieri quando lo ha rivelato l´edizione domenicale del Frankfurter Allgemeine, un team internazionale di archeologi, guidato da Otto Schaden, ha ripreso da novembre a scavare tra i siti tombali della mitica Valle dei Re a Luxor, in Egitto. Schaden e gli altri ricercatori non si sbilanciano, ma speculazioni, rumors e speranze segrete rilanciano la possibilità di trovare infine il sarcofago o la mummia della splendida regina, moglie del faraone Achenaton. O di altri membri della famiglia che, regnando, introdusse brevemente il monoteismo. Come in un romanzo d´avventure, o in un film di Indiana Jones, ma con pieno rigore scientifico, rinasce la grande ambizione dei contemporanei di ritrovare i resti di quei Grandi di millenni e millenni or sono.
«Io non mi abbandono a speculazioni, noi scaviamo e basta. Speriamo però che la prossima stagione di scavi ci porti a nuove informazioni», dice Otto Schaden. Non si presta alle voci sulla speranza di trovare Nefertiti. All´inizio di gennaio egli tornerà in Egitto per la ripresa dei lavori. Quel che conta è che ha l´appoggio del potentissimo Zahi Hawass, il direttore del Supreme council of antiquities, cioè l´authority egiziana per il patrimonio artistico dell´antichità. E´ a Schaden stesso che si deve la scoperta, nel 2006, del sito tombale KV 63. Individuato per caso, come molti altri. Gli scavi ora ripresi si svolgono sotto tombe già individuate decenni fa.
La valle dei re è sempre stata piena di sorprese sensazionali. Nel 1912, Theodore Davis disse «ho la sensazione che ormai abbiamo trovato tutto scavando nella valle», ma appena dieci anni dopo l´archeologo britannico Howard Carter lo smentì, trovando la famosa tomba del faraone Tutankhamon. Il colpo di scena si ripeterà oggi? «E´ ragionevole aspettarsi nuove scoperte», afferma Otto Schaden.
E´ da millenni che la Valle dei Re appassiona, affascina e incuriosisce. Invano i faraoni la progettarono, sperando di riposare in pace nelle loro misteriose tombe sotterranee. Già nel 25 avanti Cristo lo storico e geografo Strabone descrisse la Valle come «un luogo con almeno quaranta cripte reali scavate nelle rocce, che vale la pena visitare». Le tombe erano undici-tredici secoli più vecchie di lui, molti ladri, i tombaroli dell´epoca, ne avevano già saccheggiate alcune.
La leggenda più affascinante resta quella di Nefertiti. Della splendida regina ci resta oggi solo il famoso busto, custodito nel Museo di Berlino. Una delle più belle immagini femminili nell´arte, da quando il genere umano esiste. La meravigliosa Nefertiti era moglie di Akhenaton, il faraone che decise di abolire il mondo politeista dell´antica religione egiziana e impose d´autorità il primo culto monoteista, quello del dio solare Aton. La scelta non piacque a molti. Tutankhamon, considerato probabile figlio di Akhenaton, salì sul trono ad appena nove anni, qualche tempo dopo la morte di Akhenaton, e sotto il suo regno il politeismo fu restaurato.
Ma dove sono oggi i resti di Nefertiti, o di Ankesenpaaton, la figlia di Akhenaton? La caccia è in corso da secoli. Nel 1827 il britannico John G. Wilkinson catalogò i siti tombali, enumerandoli come "KV" (dalle iniziali di Kings´Valley, valle dei re, appunto) più un numero. Nel 1922, Carter scoprì Tutankhamon. Nel 1995 un team guidato da Kent Weeks trovò le presunte mummie di figli di Ramsete II: La scoperta del sito KV 63 è cominciata scavando e trovando i resti di umili capanne degli operai o schiavi che costruirono le tombe. Poi, sotto, sono stati trovati i sarcofagi vuoti. Forse, si pensa da tempo, le sepolture di Akhenaton e della sua famiglia furono traslate altrove dopo il ripristino del politeismo. Il potente Zahi Hawass, che in un primo tempo non ne voleva sapere di nuovi scavi, ha infine dato il suo accordo. E la rincorsa della leggenda ricomincia, laggiù nella Valle dei Re.
La Sfinge. L'ultima ricerca di una équipe inglese la testa fu rimodellata nel corso dei secoli
La Repubblica 15.12.08
La Sfinge. L'ultima ricerca di una équipe inglese la testa fu rimodellata nel corso dei secoli
Da leone a uomo così cambiò volto
Ma secondo l'archeologia ufficiale le nuove ipotesi non sono ancora suffragate da evidenze incontestabili
di Luigi Bignami
Due nuove ipotesi rilanciano il mistero della Sfinge di Giza. Nota da sempre per il suo volto umano e il corpo leonino e per essere stata costruita circa 4.500 anni fa, in realtà potrebbe essere stata modellata nella roccia almeno qualche secolo se non addirittura 1.500 anni prima, e il volto originario sarebbe stato quello di un leone. Questo sostiene un gruppo di ricercatori dopo aver eseguito accurati rilievi, durati diversi anni, sul corpo della più enigmatica delle sculture. Colin Reader della Manchester Ancient Egypt Society, uno dei geologi leader nella ricerca, sostiene che solo ipotizzando un´età di almeno un paio di secoli superiore si può spiegare l´erosione visibile sul corpo della Sfinge. In sostanza essa non fu realizzata subito dopo la costruzione delle Piramidi, ma prima, molto prima. «A sostegno della mia ipotesi vi è il fatto che nell´area di Giza sono stati trovati resti di palazzi che dimostrerebbero che vi era un´intensa attività umana di molto antecedente alla costruzione delle Piramidi», sostiene Reader.
L´ipotesi va a dar man forte a quella già proposta alcuni anni fa dal geologo Robert Schochdel College of General Studies di Boston, il quale però aveva ipotizzato che il monumento fosse molto più antico di quel che si pensava. Tesi avvalorata dal fatto che alcune forme di erosione presenti sul corpo del monumento potrebbero essere state prodotte solo da prolungati periodi di pioggia. E poiché l´ultimo periodo di forti precipitazioni in Egitto terminò tra il tardo quarto millennio avanti Cristo e l´inizio del terzo millennio a. C. secondo Schoch questo significava che la data di costruzione della Sfinge era da collocarsi tra il quinto e il quarto millennio a. C.. Tradotto: circa 1.500 anni prima della data considerata reale.
Accanto a Schoch e Reader un altro studioso, il geologo David Coxill, dipendente dal dipartimento nazionale britannico, è giunto recentemente a sostenere che la Sfinge è più vecchia di quanto ritenuto, anche se la sua ipotesi è più conservativa rispetto a quella di Schoch, in quanto spinge indietro nel tempo la nascita della Sfinge di soli due o tre secoli.
Reader comunque sostiene anche un´altra tesi controcorrente e cioè il fatto che il volto originario della Sfinge non fosse quello che possiamo osservare ai nostri giorni. «Esso - sostiene Reader - doveva essere quello di un leone». In realtà altri ricercatori sostengono l´ipotesi di Reader perché il corpo della Sfinge e la testa sono enormemente sproporzionati e questo non sarebbe stato di gradimento per un faraone. «Non ci sono dubbi che la testa originaria doveva essere del tutto diversa rispetto a quella che si osserva e questo per una questione di proporzioni», ha spiegato lo storico d´arte Jonathan Foyle che ha seguito i lavori di Reader. La statua è lunga 73 metri, mentre l´altezza massima della testa si aggira intorno ai 20 m. Fu Cheope, secondo Reader, a rimodellare il volto trasformandolo da leonino a sua immagine o come vogliono alcuni storici, il figlio di questi, Djedefra, a lui succeduto.
Il motivo per cui i più antichi egizi si impegnarono nel realizzare una simile opera scultorea stava nel fatto che il leone possedeva un simbolo di potenza superiore a quello del volto umano. E la possibilità di incontrare leoni nella piana di Giza era notevole, perché circa 5.000 anni fa il loro numero in quella località era certamente imponente.
Queste ipotesi comunque, pur suffragate da alcuni dati di valore, non sono, al momento, ritenute sufficientemente corpose da far cambiare l´età della Sfinge da parte dell´archeologia ufficiale. Quel che è certo è il fatto che una volta che la necropoli cui apparteneva fu abbandonata la Sfinge venne ricoperta dalla sabbia fino alle spalle. Venne completamente strappata al deserto solo nel 1886, grazie al lavoro finale di Gaston Maspero, e fu interamente visibile al pubblico a partire dal 1925.
La Sfinge. L'ultima ricerca di una équipe inglese la testa fu rimodellata nel corso dei secoli
Da leone a uomo così cambiò volto
Ma secondo l'archeologia ufficiale le nuove ipotesi non sono ancora suffragate da evidenze incontestabili
di Luigi Bignami
Due nuove ipotesi rilanciano il mistero della Sfinge di Giza. Nota da sempre per il suo volto umano e il corpo leonino e per essere stata costruita circa 4.500 anni fa, in realtà potrebbe essere stata modellata nella roccia almeno qualche secolo se non addirittura 1.500 anni prima, e il volto originario sarebbe stato quello di un leone. Questo sostiene un gruppo di ricercatori dopo aver eseguito accurati rilievi, durati diversi anni, sul corpo della più enigmatica delle sculture. Colin Reader della Manchester Ancient Egypt Society, uno dei geologi leader nella ricerca, sostiene che solo ipotizzando un´età di almeno un paio di secoli superiore si può spiegare l´erosione visibile sul corpo della Sfinge. In sostanza essa non fu realizzata subito dopo la costruzione delle Piramidi, ma prima, molto prima. «A sostegno della mia ipotesi vi è il fatto che nell´area di Giza sono stati trovati resti di palazzi che dimostrerebbero che vi era un´intensa attività umana di molto antecedente alla costruzione delle Piramidi», sostiene Reader.
L´ipotesi va a dar man forte a quella già proposta alcuni anni fa dal geologo Robert Schochdel College of General Studies di Boston, il quale però aveva ipotizzato che il monumento fosse molto più antico di quel che si pensava. Tesi avvalorata dal fatto che alcune forme di erosione presenti sul corpo del monumento potrebbero essere state prodotte solo da prolungati periodi di pioggia. E poiché l´ultimo periodo di forti precipitazioni in Egitto terminò tra il tardo quarto millennio avanti Cristo e l´inizio del terzo millennio a. C. secondo Schoch questo significava che la data di costruzione della Sfinge era da collocarsi tra il quinto e il quarto millennio a. C.. Tradotto: circa 1.500 anni prima della data considerata reale.
Accanto a Schoch e Reader un altro studioso, il geologo David Coxill, dipendente dal dipartimento nazionale britannico, è giunto recentemente a sostenere che la Sfinge è più vecchia di quanto ritenuto, anche se la sua ipotesi è più conservativa rispetto a quella di Schoch, in quanto spinge indietro nel tempo la nascita della Sfinge di soli due o tre secoli.
Reader comunque sostiene anche un´altra tesi controcorrente e cioè il fatto che il volto originario della Sfinge non fosse quello che possiamo osservare ai nostri giorni. «Esso - sostiene Reader - doveva essere quello di un leone». In realtà altri ricercatori sostengono l´ipotesi di Reader perché il corpo della Sfinge e la testa sono enormemente sproporzionati e questo non sarebbe stato di gradimento per un faraone. «Non ci sono dubbi che la testa originaria doveva essere del tutto diversa rispetto a quella che si osserva e questo per una questione di proporzioni», ha spiegato lo storico d´arte Jonathan Foyle che ha seguito i lavori di Reader. La statua è lunga 73 metri, mentre l´altezza massima della testa si aggira intorno ai 20 m. Fu Cheope, secondo Reader, a rimodellare il volto trasformandolo da leonino a sua immagine o come vogliono alcuni storici, il figlio di questi, Djedefra, a lui succeduto.
Il motivo per cui i più antichi egizi si impegnarono nel realizzare una simile opera scultorea stava nel fatto che il leone possedeva un simbolo di potenza superiore a quello del volto umano. E la possibilità di incontrare leoni nella piana di Giza era notevole, perché circa 5.000 anni fa il loro numero in quella località era certamente imponente.
Queste ipotesi comunque, pur suffragate da alcuni dati di valore, non sono, al momento, ritenute sufficientemente corpose da far cambiare l´età della Sfinge da parte dell´archeologia ufficiale. Quel che è certo è il fatto che una volta che la necropoli cui apparteneva fu abbandonata la Sfinge venne ricoperta dalla sabbia fino alle spalle. Venne completamente strappata al deserto solo nel 1886, grazie al lavoro finale di Gaston Maspero, e fu interamente visibile al pubblico a partire dal 1925.
La rivista araba che parla di sesso
Corriere della Sera 16.12.08
Joumana Haddad. Una poetessa libanese lancia il periodico «Corpo»
La rivista araba che parla di sesso
di Viviana Mazza
Il caso Attesa e insulti per un nuovo trimestrale edito in Libano
«Corpo»: la rivista araba che spezza gli ultimi tabù
Feticismo e sesso orale tra i temi del primo numero
Ideatrice e direttrice Joumana Haddad, 38 anni, poetessa e giornalista libanese cattolica
C'è grande attesa per il primo numero di Jasad, «Corpo»: sulla copertina della rivista trimestrale libanese vietata ai minori (a sinistra) spicca un corpo di donna avvolto in un drappo rosso. La «J» disegnata come una manetta aperta «si riferisce alla necessità di spezzare i tabù», spiega la direttrice, la poetessa Joumana Haddad, 38 anni (qui sopra). Sesso orale e omosessualità fra i temi degli articoli del primo numero.
«Era una giornata di primavera che improvvisamente divenne molto più calda. Lei indossava dei collant di nylon con scarpe basse leggere e, all'aumentare della temperatura, mi annunciò che non li sopportava più. Ci allontanammo dagli sguardi curiosi, rapidamente si tolse i collant e ricordo ancora il momento esatto in cui i suoi piedi furono denudati, liberi dal loro involucro nero trasparente...». Così Ibrahim Farghali, scrittore egiziano, si confessa feticista del piede in un articolo che apparirà questa settimana sul primo numero di una rivista in lingua araba edita in Libano.
Sulla copertina nera spicca un corpo di donna avvolto in un drappo rosso. In alto, la scritta Jasad, corpo. La «J» è disegnata come una manetta aperta. Non è un invito al sado-maso, ma «si riferisce alla necessità di spezzare i tabù», spiega l'ideatrice e direttrice, Joumana Haddad, 38 anni, poetessa e giornalista libanese cattolica. Nonostante la copertina ricca di metafore, Jasad è un tentativo di chiamare le «cose del corpo» col loro nome, in arabo. Oggi nella lingua araba, non appena si parla di corpi, «si annega in un mare di metafore », spiega Haddad, che parla 7 lingue, tra cui la nostra, ed è in Italia per curare il suo primo libro di poesie in italiano, Adrenalina (Edizioni del Leone; uscirà in primavera). «Per il pene usano la parola colonna. Clitoride non si può dire. Per l'organo femminile ci sono più di 100 parole, tutte di letteratura, di grande bellezza. Ma non siamo abituati a pronunciarle, solo nella nostra testa o a voce bassa. Un'amica mi ha detto: preferisco leggerti in inglese, quando ti leggo in arabo ho paura del peso delle parole».
Sesso orale, omosessualità, cannibalismo sono tra i temi trattati nei 50 articoli del primo numero, firmati da scrittori arabi, la maggior parte musulmani.
Jasad è un trimestrale, vietato ai minori. L'attesa è grande. «O Signore, fa che sia in vendita in Giordania», scrive un lettore sul sito di Al Arabiya. Sarà venduto in edicola e libreria a Beirut, inviato per corriere in Medio Oriente e Maghreb. Gli abbonati sono centinaia. Ma ci sono anche giudizi negativi (e insulti per Haddad). Alla fiera del libro di Beirut, membri del partito sciita Hezbollah hanno tentato di chiudere lo stand di Jasad. L'Arabia Saudita ha bloccato il sito web della rivista. «Ma è il paese con il più alto numero di abbonati ».
Haddad va avanti. « Jasad è una rivista di cultura in cui si tratta del corpo, non solo nella dimensione erotica, ma anche in quella sociale, etica e linguistica », spiega. A quella erotica è dato molto spazio anche perché «è stata rubata agli arabi». A chi la accusa di copiare gli occidentali, consiglia di leggere Il giardino profumato di Nafzawi e i testi non censurati de Le mille e una notte. «E ho trovato dei testi in arabo del secolo X e IX che farebbero arrossire lo scrittore occidentale più osceno. La scrittura araba parlava del corpo con una bellezza e una facilità che si è persa». Perché? «Una ragione è il potere gradualmente più grande della religione sulla nostra vita». Non si riferisce solo all'Islam. «Sono cresciuta in una famiglia molto tradizionalista, con un padre che se avesse immaginato quello che avrei fatto si sarebbe buttato dal terzo piano». Ma oggi papà è al suo fianco.
Joumana Haddad. Una poetessa libanese lancia il periodico «Corpo»
La rivista araba che parla di sesso
di Viviana Mazza
Il caso Attesa e insulti per un nuovo trimestrale edito in Libano
«Corpo»: la rivista araba che spezza gli ultimi tabù
Feticismo e sesso orale tra i temi del primo numero
Ideatrice e direttrice Joumana Haddad, 38 anni, poetessa e giornalista libanese cattolica
C'è grande attesa per il primo numero di Jasad, «Corpo»: sulla copertina della rivista trimestrale libanese vietata ai minori (a sinistra) spicca un corpo di donna avvolto in un drappo rosso. La «J» disegnata come una manetta aperta «si riferisce alla necessità di spezzare i tabù», spiega la direttrice, la poetessa Joumana Haddad, 38 anni (qui sopra). Sesso orale e omosessualità fra i temi degli articoli del primo numero.
«Era una giornata di primavera che improvvisamente divenne molto più calda. Lei indossava dei collant di nylon con scarpe basse leggere e, all'aumentare della temperatura, mi annunciò che non li sopportava più. Ci allontanammo dagli sguardi curiosi, rapidamente si tolse i collant e ricordo ancora il momento esatto in cui i suoi piedi furono denudati, liberi dal loro involucro nero trasparente...». Così Ibrahim Farghali, scrittore egiziano, si confessa feticista del piede in un articolo che apparirà questa settimana sul primo numero di una rivista in lingua araba edita in Libano.
Sulla copertina nera spicca un corpo di donna avvolto in un drappo rosso. In alto, la scritta Jasad, corpo. La «J» è disegnata come una manetta aperta. Non è un invito al sado-maso, ma «si riferisce alla necessità di spezzare i tabù», spiega l'ideatrice e direttrice, Joumana Haddad, 38 anni, poetessa e giornalista libanese cattolica. Nonostante la copertina ricca di metafore, Jasad è un tentativo di chiamare le «cose del corpo» col loro nome, in arabo. Oggi nella lingua araba, non appena si parla di corpi, «si annega in un mare di metafore », spiega Haddad, che parla 7 lingue, tra cui la nostra, ed è in Italia per curare il suo primo libro di poesie in italiano, Adrenalina (Edizioni del Leone; uscirà in primavera). «Per il pene usano la parola colonna. Clitoride non si può dire. Per l'organo femminile ci sono più di 100 parole, tutte di letteratura, di grande bellezza. Ma non siamo abituati a pronunciarle, solo nella nostra testa o a voce bassa. Un'amica mi ha detto: preferisco leggerti in inglese, quando ti leggo in arabo ho paura del peso delle parole».
Sesso orale, omosessualità, cannibalismo sono tra i temi trattati nei 50 articoli del primo numero, firmati da scrittori arabi, la maggior parte musulmani.
Jasad è un trimestrale, vietato ai minori. L'attesa è grande. «O Signore, fa che sia in vendita in Giordania», scrive un lettore sul sito di Al Arabiya. Sarà venduto in edicola e libreria a Beirut, inviato per corriere in Medio Oriente e Maghreb. Gli abbonati sono centinaia. Ma ci sono anche giudizi negativi (e insulti per Haddad). Alla fiera del libro di Beirut, membri del partito sciita Hezbollah hanno tentato di chiudere lo stand di Jasad. L'Arabia Saudita ha bloccato il sito web della rivista. «Ma è il paese con il più alto numero di abbonati ».
Haddad va avanti. « Jasad è una rivista di cultura in cui si tratta del corpo, non solo nella dimensione erotica, ma anche in quella sociale, etica e linguistica », spiega. A quella erotica è dato molto spazio anche perché «è stata rubata agli arabi». A chi la accusa di copiare gli occidentali, consiglia di leggere Il giardino profumato di Nafzawi e i testi non censurati de Le mille e una notte. «E ho trovato dei testi in arabo del secolo X e IX che farebbero arrossire lo scrittore occidentale più osceno. La scrittura araba parlava del corpo con una bellezza e una facilità che si è persa». Perché? «Una ragione è il potere gradualmente più grande della religione sulla nostra vita». Non si riferisce solo all'Islam. «Sono cresciuta in una famiglia molto tradizionalista, con un padre che se avesse immaginato quello che avrei fatto si sarebbe buttato dal terzo piano». Ma oggi papà è al suo fianco.
Poetessa e giornalista, ha ideato una rivista, Jasad, definita il Playboy del Libano. Sul primo numero c'è una donna nuda
il Riformista 21.12.08
Joumana Haddad. Scrivo col mio corpo per la libertà delle arabe
Poetessa e giornalista, ha ideato una rivista, Jasad, definita il Playboy del Libano. Sul primo numero c'è una donna nuda
di Andreana Saint Amour
38 anni, cattolica, di famiglia tradizionalista Joumana Haddad parla sette lingue, tra cui ...
«Scrivere per me non è solo un atto cerebrale. Io scrivo con la testa ma anche con le unghie. La scrittura è un atto fisico concreto. Quando lascio la penna provo una soddisfazione che è simile al piacere sessuale». Joumana Haddad, poetessa, giornalista, ideatrice e direttrice del trimestrale Jasad, (corpo), scrive con il corpo. Body Talk è il titolo dell'editoriale che presenterà al pubblico la più chiacchierata e attesa rivista in lingua araba, vietata ai minori di 18 anni, che da domani sarà nelle edicole e nelle librerie di Beirut . Siamo oltre la body art perché la vera sfida per il mondo arabo e per il mondo occidentale non è rappresentare, ma parlare del corpo.
Perché Jasad? «Perché il corpo è la verità di tutti noi», si legge nell'editoriale, «è la nostra verità individuale, e la nostra verità collettiva. Ed è la nostra identità, e il nostro tratto distintivo, e il nostro linguaggio. E certamente perché questo corpo è stato sottratto alla nostra vita, alla nostra cultura e alla nostra lingua araba». In copertina sul primo numero di Jasad c'è un corpo nudo femminile perfettamente leggibile sotto un drappo rosso, la J è disegnata come una manetta aperta perché «è necessario rompere i tabù». La stampa, e non solo quella locale, ha presentato Jasad come la versione araba di Playboy partendo da un equivoco di fondo: «Nel mondo arabo quando si pronuncia la parola corpo si pensa subito alle sue implicazioni erotiche e non si va oltre» spiega Haddad, «ma è sconcertante accorgersi che anche nel mondo occidentale quando una donna araba parla di corpo si arrivi alle stesse banali conclusioni. Finora chi ha giudicato questo mio progetto lo ha fatto partendo da un pregiudizio senza aver visto o letto il prodotto finito. Intellettuali, artisti e scrittori arabi, uomini e donne, parleranno del corpo in tutte le sue declinazioni: erotiche, sociali ed etiche/anti-estetiche» con l'imperativo di liberare il corpo arabo. In pratica, almeno da noi in Occidente, si può dire che si è aperta una polemica immaginando un prodotto che non è mai esistito. Una virtualità che la dice lunga sulla capacità di analisi della «nostra» cultura rispetto alla complessa realtà di un mondo arabo difficilmente riconducibile a un unico modulo.
Ma c'è un dato che va messo a fuoco. Jasad esce in Libano, una nazione in terra mediorientale ma di forte cultura (inclusa la lingua dominante) francese in cui convivono costumi rigorosamente tradizionali accanto a quelli occidentali senza che i due universi entrino in collisione. Sicuramente l'effetto più dirompente si registrerà nel resto del Medio Oriente, quello più marcatamente musulmano, e nel Maghreb dove la rivista sarà distribuita per abbonamento. Le critiche sono molte, le aspettative anche, «ognuno troverà quello che sta cercando». Quindi, a ben guardare, non si tratta di infrangere un tabù perché Joumana Haddad a 38 anni i tabù li ha già abbattuti tutti. Molto tempo fa. Cattolica, famiglia tradizionalista, sette lingue parlate fluentemente, tra cui un impeccabile italiano. Separata dal primo marito, due figli di 9 e 16 anni, da qualche tempo ha un nuovo compagno ma ha deciso di non viverci insieme non per timore di sfidare i pregiudizi musulmani, ma perché, dice, la convivenza è nemica di qualsiasi coppia. Joumana, sia come donna che come letterata, incarna la doppia identità del Libano: non rinnega le sue radici ma adotta un costume di vita fortemente occidentalizzato. L'ideale per creare un ponte tra due realtà che dialogano con difficoltà.
Scrive poesie erotiche molto esplicite e crude che ruotano attorno all'onnipresente tema del corpo con cui ha cominciato a fare i conti a dodici anni leggendo di nascosto il Marchese de Sade. Aspettava che i genitori uscissero di casa, prendeva una sedia, si arrampicava verso l'ultimo scaffale della biblioteca paterna, quello dei libri proibiti che le hanno insegnato cosa significasse libertà mentale. «In Libano la libertà mentale non la puoi usare, ma la puoi raccontare». Però sul suo sito, tradotto in sette lingue, che si apre con un "benvenuti nella notte di Joumana Haddad" sulle note di un motivo arabeggiante, sono disponibili solo le poesie più castigate dove non c'è traccia di erotismo. E se avesse avuto due figlie femmine avrebbe spostato de Sade in basso, su scaffali più raggiungibili? «Glielo avrei fatto leggere a 12 anni. Così come i miei figli sanno tutto quello che c'è da sapere sulle donne. Le donne arabe si lamentano della loro condizione, ma sono le prime a non scardinarla. Hanno la grave responsabilità di crescere i figli maschi con gli stessi valori dei loro padri. La vera nemica della donna è la donna stessa». Per chiudere il cerchio, questa è la stessa tesi che, a qualche migliaio di chilometri di distanza, enuncia un campione delle libertà civili in Iran come l'avvocatessa premio Nobel Shirin Ebadi, che da anni punta il dito contro l'educazione che le donne riservano ai figli maschi. Cioè contro l'incapacità di rompere una catena maschilista, che produce e perpetua delitti e disperazione.
Delicata, discreta e incerta nell'esibire la sua bellezza, Joumana Haddad non porta traccia nei modi e nelle parole della sua personale rivoluzione. La sua attitudine si scontra con la sua letteratura. Non ama molto farsi fotografare e anzi teme, di fronte all'obiettivo, che il suo aspetto risulti alterato. Ma ha idee chiare sul proprio patrimonio intellettuale: «Devo nutrire la testa. Ho avuto un tesoro tra le mani, una libertà mentale che spesso non era possibile usare in Libano. La scrittura è stata per me il modo per trovare una zona franca dove parlare di tutto, senza tabù. Un esercizio quotidiano per convincere gli altri che quello che stavo facendo era importante». Naturalmente giorno per giorno, senza clamori perché, dice, «i grandi cambiamenti si fanno nel microscopico». Proprio perché scrittura e mutamento dei costumi per Joumana procedono di pari passo. Insieme alla sua rivista dove «ognuno troverà quello che sta cercando». Soprattutto le donne, finalmente padrone del loro corpo.
Joumana Haddad. Scrivo col mio corpo per la libertà delle arabe
Poetessa e giornalista, ha ideato una rivista, Jasad, definita il Playboy del Libano. Sul primo numero c'è una donna nuda
di Andreana Saint Amour
38 anni, cattolica, di famiglia tradizionalista Joumana Haddad parla sette lingue, tra cui ...
«Scrivere per me non è solo un atto cerebrale. Io scrivo con la testa ma anche con le unghie. La scrittura è un atto fisico concreto. Quando lascio la penna provo una soddisfazione che è simile al piacere sessuale». Joumana Haddad, poetessa, giornalista, ideatrice e direttrice del trimestrale Jasad, (corpo), scrive con il corpo. Body Talk è il titolo dell'editoriale che presenterà al pubblico la più chiacchierata e attesa rivista in lingua araba, vietata ai minori di 18 anni, che da domani sarà nelle edicole e nelle librerie di Beirut . Siamo oltre la body art perché la vera sfida per il mondo arabo e per il mondo occidentale non è rappresentare, ma parlare del corpo.
Perché Jasad? «Perché il corpo è la verità di tutti noi», si legge nell'editoriale, «è la nostra verità individuale, e la nostra verità collettiva. Ed è la nostra identità, e il nostro tratto distintivo, e il nostro linguaggio. E certamente perché questo corpo è stato sottratto alla nostra vita, alla nostra cultura e alla nostra lingua araba». In copertina sul primo numero di Jasad c'è un corpo nudo femminile perfettamente leggibile sotto un drappo rosso, la J è disegnata come una manetta aperta perché «è necessario rompere i tabù». La stampa, e non solo quella locale, ha presentato Jasad come la versione araba di Playboy partendo da un equivoco di fondo: «Nel mondo arabo quando si pronuncia la parola corpo si pensa subito alle sue implicazioni erotiche e non si va oltre» spiega Haddad, «ma è sconcertante accorgersi che anche nel mondo occidentale quando una donna araba parla di corpo si arrivi alle stesse banali conclusioni. Finora chi ha giudicato questo mio progetto lo ha fatto partendo da un pregiudizio senza aver visto o letto il prodotto finito. Intellettuali, artisti e scrittori arabi, uomini e donne, parleranno del corpo in tutte le sue declinazioni: erotiche, sociali ed etiche/anti-estetiche» con l'imperativo di liberare il corpo arabo. In pratica, almeno da noi in Occidente, si può dire che si è aperta una polemica immaginando un prodotto che non è mai esistito. Una virtualità che la dice lunga sulla capacità di analisi della «nostra» cultura rispetto alla complessa realtà di un mondo arabo difficilmente riconducibile a un unico modulo.
Ma c'è un dato che va messo a fuoco. Jasad esce in Libano, una nazione in terra mediorientale ma di forte cultura (inclusa la lingua dominante) francese in cui convivono costumi rigorosamente tradizionali accanto a quelli occidentali senza che i due universi entrino in collisione. Sicuramente l'effetto più dirompente si registrerà nel resto del Medio Oriente, quello più marcatamente musulmano, e nel Maghreb dove la rivista sarà distribuita per abbonamento. Le critiche sono molte, le aspettative anche, «ognuno troverà quello che sta cercando». Quindi, a ben guardare, non si tratta di infrangere un tabù perché Joumana Haddad a 38 anni i tabù li ha già abbattuti tutti. Molto tempo fa. Cattolica, famiglia tradizionalista, sette lingue parlate fluentemente, tra cui un impeccabile italiano. Separata dal primo marito, due figli di 9 e 16 anni, da qualche tempo ha un nuovo compagno ma ha deciso di non viverci insieme non per timore di sfidare i pregiudizi musulmani, ma perché, dice, la convivenza è nemica di qualsiasi coppia. Joumana, sia come donna che come letterata, incarna la doppia identità del Libano: non rinnega le sue radici ma adotta un costume di vita fortemente occidentalizzato. L'ideale per creare un ponte tra due realtà che dialogano con difficoltà.
Scrive poesie erotiche molto esplicite e crude che ruotano attorno all'onnipresente tema del corpo con cui ha cominciato a fare i conti a dodici anni leggendo di nascosto il Marchese de Sade. Aspettava che i genitori uscissero di casa, prendeva una sedia, si arrampicava verso l'ultimo scaffale della biblioteca paterna, quello dei libri proibiti che le hanno insegnato cosa significasse libertà mentale. «In Libano la libertà mentale non la puoi usare, ma la puoi raccontare». Però sul suo sito, tradotto in sette lingue, che si apre con un "benvenuti nella notte di Joumana Haddad" sulle note di un motivo arabeggiante, sono disponibili solo le poesie più castigate dove non c'è traccia di erotismo. E se avesse avuto due figlie femmine avrebbe spostato de Sade in basso, su scaffali più raggiungibili? «Glielo avrei fatto leggere a 12 anni. Così come i miei figli sanno tutto quello che c'è da sapere sulle donne. Le donne arabe si lamentano della loro condizione, ma sono le prime a non scardinarla. Hanno la grave responsabilità di crescere i figli maschi con gli stessi valori dei loro padri. La vera nemica della donna è la donna stessa». Per chiudere il cerchio, questa è la stessa tesi che, a qualche migliaio di chilometri di distanza, enuncia un campione delle libertà civili in Iran come l'avvocatessa premio Nobel Shirin Ebadi, che da anni punta il dito contro l'educazione che le donne riservano ai figli maschi. Cioè contro l'incapacità di rompere una catena maschilista, che produce e perpetua delitti e disperazione.
Delicata, discreta e incerta nell'esibire la sua bellezza, Joumana Haddad non porta traccia nei modi e nelle parole della sua personale rivoluzione. La sua attitudine si scontra con la sua letteratura. Non ama molto farsi fotografare e anzi teme, di fronte all'obiettivo, che il suo aspetto risulti alterato. Ma ha idee chiare sul proprio patrimonio intellettuale: «Devo nutrire la testa. Ho avuto un tesoro tra le mani, una libertà mentale che spesso non era possibile usare in Libano. La scrittura è stata per me il modo per trovare una zona franca dove parlare di tutto, senza tabù. Un esercizio quotidiano per convincere gli altri che quello che stavo facendo era importante». Naturalmente giorno per giorno, senza clamori perché, dice, «i grandi cambiamenti si fanno nel microscopico». Proprio perché scrittura e mutamento dei costumi per Joumana procedono di pari passo. Insieme alla sua rivista dove «ognuno troverà quello che sta cercando». Soprattutto le donne, finalmente padrone del loro corpo.
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