Nel museo dei leoni di pietra l'anima della civiltà fenicia
Carlo Figari
L'Unione Sarda, 10/1/2006
Dopo più di trent'anni inaugurato ieri a S. Antioco e dedicato a Ferruccio Barreca.
Per gli archeologi è la più importante collezione di epoca punica oggi esistente.
Il pezzo più importante? Una coppa proveniente da Tiro, in Libano. Probabilmente faceva parte del corredo di bordo di una nave fenicia. Unica in Sardegna, datata settimo secolo avanti Cristo, all'occhio del profano dice poco o niente. Ma per l'esperto è un'autentica rarità. «Lo stile e la pasta sono inconfondibili: in Occidente non ne sono state trovato altre», dice l'archeologo Piero Bartoloni. Il giorno dell'inagurazione del museo di Sant'Antioco sprizza di soddisfazione. Ieri mattina il sogno di aprire al pubblico la ricca collezione si è trasformato in realtà. Ci sono voluti più di trent'anni dalla posa della prima pietra, una storia di disavventure finanziarie e di lentezze burocratiche che ne avevano fatto un simbolo in negativo dei beni culturali in Sardegna. Ma il discorso si dovrebbe allargare all'Italia, visto che sino al 1995 era di proprietà dello Stato e che Roma in quattro lustri non era stata in grado di realizzare il museo del Sulcis. Ma non è tutto. Per poterlo aprire, superando ulteriori intralci amministrativi, Comune e Soprintendenza si sono inventati un espediente tecnico: l'inagurazione di una mostra permanente. Altro non è che lo stesso museo, da oggi finalmente visitabile. «Il più bel museo fenicio punico del mondo», si entusiasma il sindaco Eusebio Baghino. Come conferma uno studioso di fama qual è Momo Zucca: «È vero, se parliamo di un museo specializzato non vedo una collezione più ricca e completa. Qui sono presenti reperti di altri periodi, dalla protostoria alla civiltà romana, ma in numero limitato. Il grosso rappresenta l'epoca fenicio punica con una collezione che non teme confronti. Neppure con i musei di Cartagine o di Mozia in Sicilia». Baghino rilancia con un'impennata d'orgoglio campanilista: «All'esposizione di Palazzo Grassi a Venezia, nel 1988, il trenta per cento dei reperti proveniva da Sant'Antioco e nel salone centrale della mostra c'erano i nostri due leoni di pietra. Oggi tutto questo è raccolto qui», dice ricordando che negli ultimi due anni i visitatori dell'area archeologica sono stati 25 mila. «Con il museo speriamo di richiamarne molti di più».
Il taglio del nastro non è stato la solita formalità. Questa volta la retorica dei discorsi ufficiali è stata superata dalla soddisfazione per avercela fatta. Piero Bartoloni, unico ordinario di archeologia fenicio punico in Sardegna (con cattedra a Sassari), ha cominciato a lavorare al museo sin dalle origini. Da quando l'indimenticato Ferruccio Barreca (a cui giustamente è intitolato) ebbe l'idea di creare un museo nello stesso luogo dove negli anni Sessanta-Settanta venivano alla luce i resti della più antica e più importante città fenicio-punica: il porto, le necropoli con decine di tombe, il tophet con centinaia di urne e stele funerarie, ruderi di templi, strade ed edifici civili. La terra restituiva una enorme quantità di oggetti di ogni genere: dai preziosi gioielli alla ceramica, dai mosaici tardo imperiali alle statue puniche e romane. «Oggi abbiamo la certezza che Sulky risale al settimo secolo avanti Cristo, più antica di Nora e di ogni altra colonia fenicia», sottolinea Bartoloni.
In quegli anni Barreca pretende che i reperti di Sant'Antioco, accatastati in magazzini, trovino la giusta collocazione "in loco" e non prendano la via dell'esilio al museo di Cagliari, come quasi sempre accadeva. Il progetto nasce nel 1970 e nel 1973 si comincia. Ma dopo il rustico iniziano i guai. Finiscono i soldi, non si trovano nuovi finanziamenti, cambiano le leggi per i sistemi di sicurezza. In breve il cantiere si ferma. Quando nel 1995 il museo passa alla Regione i lavori possono ripartire. Si concludono dieci anni dopo. «Nel marzo del 2005 - continua Bartoloni - il sindaco Baghino mi chiede di approntare l'allestimento con l'obiettivo di aprire quanto prima». Dieci mesi, un altro record questa volta positivo, e ieri eccoci qua con la cerimonia del nastro. Un piccolo miracolo a cui partecipano in tanti. Oltre a Bartoloni, c'è un altro archeologo a cui Sant'Antioco deve molto: il funzionario della Soprintendenza Paolo Bernardini che da vent'anni scava, studia e si danna nell'interminabile cantiere tra la necropoli, il tophet e il museo. Sono sue le principali scoperte. E ieri, schivo come sempre, si gode la festa. «Non è la mia», dice: «è quella di Sant'Antioco».
Alla cerimonia partecipano tutti. C'è il presidente della nuova Provincia Pierfranco Gaviano, c'è l'assessore ai Beni culturali Elisabetta Pilia: «II museo è aperto, ora la Regione deve fare qualcosa in più per la promozione e la comunicazione», dice: «Dobbiamo puntare sulla qualità e per questo dobbiamo lavorare sui sistemi di zona che raggruppano più musei comunali mettendo insieme servizi e professionalità». E ribadisce: «La Regione continuerà ad investire sui beni culturali, portando avanti l'accordo di programma con lo Stato».
Il museo accoglie i visitatori con un allestimento moderno e didascalico. All'ingresso una mappa gigante in rilievo mostra i diversi insediamenti con una selezione cronologica. Interessa sapere dove si trovano i resti punici oppure quelli romani? Basta premere un pulsante e la risposta arriva con una luce colorata. Il porto di Sulky è stato ricostruito fedelmente in scala: come una foto istantanea, un plastico mostra le navi ormeggiate ai moli, uno scafo in costruzione nel cantiere nautico, la vita quotidiana. Spiega Bartoloni: «È una riproduzione verosimile perché l'abbiamo realizzata basandoci sulle fonti storielle e archeologiche».
Il museo può contare su sedicimila reperti, la metà sono esposti nelle vetrine o in attesa di essere sistemati. Un posto d'onore spetta ai leoni di tufo vulcanico locale, scoperti nel 1983 nell'area del Cronicario da Paolo Bernardini e Carlo Tronchetti. Eleganti esempi dell'arte punica, sono ancora al centro del dibattito tra gli esperti. Bernardini, seguendo l'analisi stilistica, propone come datazione il sesto secolo, Bartoloni li riporta al 375 «quando Cartagine decise di fortificare tutte le sue colonie con possenti mura. Questi leoni, simili a quelli trovati a Tharros, erano collocati probabilmente davanti alla porta settentrionale della città. In epoca romana furono riutilizzati alla base della tribuna dell'anfiteatro. Sicuramente vennero scolpiti da maestranze cartaginesi con uno stile tipico a quelle popolazioni».
Carlo Figari
L'Unione Sarda, 10/1/2006
Dopo più di trent'anni inaugurato ieri a S. Antioco e dedicato a Ferruccio Barreca.
Per gli archeologi è la più importante collezione di epoca punica oggi esistente.
Il pezzo più importante? Una coppa proveniente da Tiro, in Libano. Probabilmente faceva parte del corredo di bordo di una nave fenicia. Unica in Sardegna, datata settimo secolo avanti Cristo, all'occhio del profano dice poco o niente. Ma per l'esperto è un'autentica rarità. «Lo stile e la pasta sono inconfondibili: in Occidente non ne sono state trovato altre», dice l'archeologo Piero Bartoloni. Il giorno dell'inagurazione del museo di Sant'Antioco sprizza di soddisfazione. Ieri mattina il sogno di aprire al pubblico la ricca collezione si è trasformato in realtà. Ci sono voluti più di trent'anni dalla posa della prima pietra, una storia di disavventure finanziarie e di lentezze burocratiche che ne avevano fatto un simbolo in negativo dei beni culturali in Sardegna. Ma il discorso si dovrebbe allargare all'Italia, visto che sino al 1995 era di proprietà dello Stato e che Roma in quattro lustri non era stata in grado di realizzare il museo del Sulcis. Ma non è tutto. Per poterlo aprire, superando ulteriori intralci amministrativi, Comune e Soprintendenza si sono inventati un espediente tecnico: l'inagurazione di una mostra permanente. Altro non è che lo stesso museo, da oggi finalmente visitabile. «Il più bel museo fenicio punico del mondo», si entusiasma il sindaco Eusebio Baghino. Come conferma uno studioso di fama qual è Momo Zucca: «È vero, se parliamo di un museo specializzato non vedo una collezione più ricca e completa. Qui sono presenti reperti di altri periodi, dalla protostoria alla civiltà romana, ma in numero limitato. Il grosso rappresenta l'epoca fenicio punica con una collezione che non teme confronti. Neppure con i musei di Cartagine o di Mozia in Sicilia». Baghino rilancia con un'impennata d'orgoglio campanilista: «All'esposizione di Palazzo Grassi a Venezia, nel 1988, il trenta per cento dei reperti proveniva da Sant'Antioco e nel salone centrale della mostra c'erano i nostri due leoni di pietra. Oggi tutto questo è raccolto qui», dice ricordando che negli ultimi due anni i visitatori dell'area archeologica sono stati 25 mila. «Con il museo speriamo di richiamarne molti di più».
Il taglio del nastro non è stato la solita formalità. Questa volta la retorica dei discorsi ufficiali è stata superata dalla soddisfazione per avercela fatta. Piero Bartoloni, unico ordinario di archeologia fenicio punico in Sardegna (con cattedra a Sassari), ha cominciato a lavorare al museo sin dalle origini. Da quando l'indimenticato Ferruccio Barreca (a cui giustamente è intitolato) ebbe l'idea di creare un museo nello stesso luogo dove negli anni Sessanta-Settanta venivano alla luce i resti della più antica e più importante città fenicio-punica: il porto, le necropoli con decine di tombe, il tophet con centinaia di urne e stele funerarie, ruderi di templi, strade ed edifici civili. La terra restituiva una enorme quantità di oggetti di ogni genere: dai preziosi gioielli alla ceramica, dai mosaici tardo imperiali alle statue puniche e romane. «Oggi abbiamo la certezza che Sulky risale al settimo secolo avanti Cristo, più antica di Nora e di ogni altra colonia fenicia», sottolinea Bartoloni.
In quegli anni Barreca pretende che i reperti di Sant'Antioco, accatastati in magazzini, trovino la giusta collocazione "in loco" e non prendano la via dell'esilio al museo di Cagliari, come quasi sempre accadeva. Il progetto nasce nel 1970 e nel 1973 si comincia. Ma dopo il rustico iniziano i guai. Finiscono i soldi, non si trovano nuovi finanziamenti, cambiano le leggi per i sistemi di sicurezza. In breve il cantiere si ferma. Quando nel 1995 il museo passa alla Regione i lavori possono ripartire. Si concludono dieci anni dopo. «Nel marzo del 2005 - continua Bartoloni - il sindaco Baghino mi chiede di approntare l'allestimento con l'obiettivo di aprire quanto prima». Dieci mesi, un altro record questa volta positivo, e ieri eccoci qua con la cerimonia del nastro. Un piccolo miracolo a cui partecipano in tanti. Oltre a Bartoloni, c'è un altro archeologo a cui Sant'Antioco deve molto: il funzionario della Soprintendenza Paolo Bernardini che da vent'anni scava, studia e si danna nell'interminabile cantiere tra la necropoli, il tophet e il museo. Sono sue le principali scoperte. E ieri, schivo come sempre, si gode la festa. «Non è la mia», dice: «è quella di Sant'Antioco».
Alla cerimonia partecipano tutti. C'è il presidente della nuova Provincia Pierfranco Gaviano, c'è l'assessore ai Beni culturali Elisabetta Pilia: «II museo è aperto, ora la Regione deve fare qualcosa in più per la promozione e la comunicazione», dice: «Dobbiamo puntare sulla qualità e per questo dobbiamo lavorare sui sistemi di zona che raggruppano più musei comunali mettendo insieme servizi e professionalità». E ribadisce: «La Regione continuerà ad investire sui beni culturali, portando avanti l'accordo di programma con lo Stato».
Il museo accoglie i visitatori con un allestimento moderno e didascalico. All'ingresso una mappa gigante in rilievo mostra i diversi insediamenti con una selezione cronologica. Interessa sapere dove si trovano i resti punici oppure quelli romani? Basta premere un pulsante e la risposta arriva con una luce colorata. Il porto di Sulky è stato ricostruito fedelmente in scala: come una foto istantanea, un plastico mostra le navi ormeggiate ai moli, uno scafo in costruzione nel cantiere nautico, la vita quotidiana. Spiega Bartoloni: «È una riproduzione verosimile perché l'abbiamo realizzata basandoci sulle fonti storielle e archeologiche».
Il museo può contare su sedicimila reperti, la metà sono esposti nelle vetrine o in attesa di essere sistemati. Un posto d'onore spetta ai leoni di tufo vulcanico locale, scoperti nel 1983 nell'area del Cronicario da Paolo Bernardini e Carlo Tronchetti. Eleganti esempi dell'arte punica, sono ancora al centro del dibattito tra gli esperti. Bernardini, seguendo l'analisi stilistica, propone come datazione il sesto secolo, Bartoloni li riporta al 375 «quando Cartagine decise di fortificare tutte le sue colonie con possenti mura. Questi leoni, simili a quelli trovati a Tharros, erano collocati probabilmente davanti alla porta settentrionale della città. In epoca romana furono riutilizzati alla base della tribuna dell'anfiteatro. Sicuramente vennero scolpiti da maestranze cartaginesi con uno stile tipico a quelle popolazioni».